
una protesta
Monza, 6 febbraio 2022 - Una strage in famiglia, due delitti orrendi, una donna e la sua bambina massacrate a martellate nel lettone di casa sconvolgono le cronache all’inizio degli anni Settanta. E dimostrano come gli orrendi delitti a sfondo famigliare, purtroppo, siano sempre esistiti e pur con diverse sfaccettature l’orrore risieda da sempre nella mente umana. Spesso nella mente di uomini che non accettano l’indipendenza delle donne e si sfogano contro di loro e addirittura contro i loro figli.
Non si parla ancora di femminicidi, cinquant’anni fa, ma non servono formule per definire quanto accaduto nella notte del 26 maggio 1973 in un piccolo appartamento di Monza: due stanze, una cucina e una camera da letto in un vecchio stabile di via Benedetto Marcello. L’assassino si chiama Pietro P., ha 50 anni e dopo una vita da manovale si trova in quel momento senza lavoro. Le vittime sono sua moglie Maria Teresa, più giovane di 25 anni, e la figlia della donna, Marika, una bimba di 4 anni.
Dopo l’orrenda scoperta , gli investigatori scandagliano la vita dell’uomo per riuscire a capire cosa avesse mosso la sua mano. Rimasto orfano in giovane età, Pietro P., originario della Sardegna, inizia a lavorare quando ha appena dodici anni. La vita è dura, prima trova un lavoro come boscaiolo, poi come scavatore nelle cave di argilla. A quarant’anni decide di lasciare la Sardegna ed emigrare per cercare fortuna al Nord, dove trova lavoro in fonderia. È un uomo solo, e già parecchio problematico. Descritto come soggetto a frequenti svenimenti, e preda di attacchi nervosi, pare sia bisognoso di continui sedativi. O almeno, questo sembra emergere al processo.
Al Nord, conosce quella che diventerà sua moglie, Maria Teresa: anche lei ha dovuto affrontare qualche difficoltà, è una ragazza madre e ha già una bambina. Ed è molto più giovane di Pietro, venticinque anni di meno. Pare che sia lei a chiedergli di sposarlo, o almeno questo racconterà l’uomo a processo. Quello che sembra un progetto comune è di unire le rispettive solitudini. Ma le cose non si mettono bene, e l’unione fallisce presto. Dopo meno di un anno. Lui, chiuso, possessivo e taciturno, non digerisce la vecchia storia d’amore della donna, non le perdona il suo passato, non tollera che lei sia più espansiva e incline alle amicizie di lui. Iniziano le scenate di gelosia. Ossessive. Addirittura lui si convince che la donna abbia una relazione clandestina. Fantasmi che agitano la sua mente sempre più sconvolta immaginano una presunta relazione con un militare, lui si convince di vederli insieme ai Boschetti della Villa Reale e la segue. La donna lo caccia in malo modo quando se lo trova alle spalle con gli occhi spiritati, lo insulta, ma la reazione del marito è inusitata. Il fragile equilibrio psichico dell’uomo si spezza e il manovale decide di uccidere. Tutte e due.
È la notte fra sabato e domenica quando entra in azione e prende a martellate la moglie e la bambina, mentre dormono nel lettone. Quando uccide la bambina, dirà al processo, l’uomo sostiene di vedere in lei il militare e presunto rivale in compagnia della moglie. Dopo il delitto, l’uomo imp ugna un coltello da cucina e prova a suicidarsi, ma si ferisce soltanto lievemente al torace. Poi beve una coca cola per ingerirci assieme candeggina e barbiturici. A quel punto, si sdraia sul letto, accanto a quello matrimoniale su cui giacciono le due vittime e attende di morire anche lui. Non sarà così.
L’orrendo delitto e il maldestro tentativo di suicidio vengono scoperti due giorni dopo dai vicini allarmati dall’improvvisa e strana assenza dei due coniugi. Al processo l’uomo proverà a difendersi ancora giustificando la scelta scellerata con queste parole: "Lei aveva già una bambina ed era di nuovo incinta. Poi abortì, mi propose di sposarla. All’inizio non mi interessava, poi mi affezionai alla piccola e ci unimmo in matrimonio il 29 luglio del 1972. Ma mia moglie mi insultava, mi chiamava bastardo, mi chiamava tubercolotico, mi tradiva. “Vattene via, mi fai schifo, vado con chi mi pare” diceva".
Imputato di duplice omicidio volontario aggravato dalla premeditazione e dal grado di parentela, gli sarà riconosciuta la seminfermità mentale ma verrà condannato. Non è noto a quanti anni di reclusione