
Soldati della Seconda Guerra Mondiale
Monza, 15 dicembre 2019 - E' la primavera del 1945. La Seconda guerra mondiale è ormai agli sgoccioli, in un clima sanguinario e feroce ci si approssima ai giorni che porteranno alla liberazione dell’Italia dal Regime fascista. Monza, come tutta l’Italia Settentrionale, è sotto il tallone della Repubblica Sociale di Salò. E da un documento datato 22 marzo 1945 (e scovato dall'appassionato Vittorio Rossin) emerge una storia di corruzione, pensioni di invalidità fasulle, minacce.
Perché la corruzione è un male connaturato all’uomo, italiano soprattutto e, specie in anni di vita agra e sofferenze come quelli della guerra, anche un pezzetto di carta che assicuri un gruzzoletto può fare gola. Ma è soltanto una “storiaccia” di corruzione e soperchierie quella che emerge dal vecchio Comando Distrettuale militare di Monza? O forse no? Sarebbe anche bello immaginare che di avere a che fare non con un volgare truffatore, ma con una sorta di Robin Hood, pronto a sabotare dall’interno il Regime pur di allungare un tozzo di pane a qualche poveraccio. Non si sa, ci si può solo attenere ai fatti.
All’epoca, per chi in guerra riportava mutilazioni o ferite invalidanti, era prevista un'indennità di mille lire. Tanto o poco? Di certo nel 1945 è una cifra non indifferente. La tentazione di accaparrarsela doveva essere tanta e ingolosisce un impiegato corrotto (?) a tal punto da spingerlo a fare carte false pur di metterci sopra le mani. Il documento dell’Ufficio Accertamenti Matricolari racconta proprio un episodio del genere. Oggetto è tale signor C., un impiegato dell’Ufficio Invalidi di Guerra di Monza. "È noto – si legge nel documento – anche nella locale sezione dei mutilati di Monza, come questo Ufficio, riconoscendo il privilegio di priorità concesso agli invalidi e mutilati di guerra dà la precedenza assoluta alle pratiche a loro favore risolvendo in giornata il pagamento dell’indennità di L. 1000". Il guaio è che "giorni fa si è presentato in ufficio l’invalido di guerra (XXX) con due copie dell’estratto di visita medica collegiale, subita il 29/12/1942, per ottenere il pagamento di detta indennità. Dall’esame è risultato che le copie conformi redatte dalla Sezione di Monza erano state post-datate di un anno (al 29/12/1943) allo scopo di ottenere l’immediato pagamento ed evitare gli accertamenti indispensabili a tutto il 31/7/1943". A firmare quelle copie, appunto, il signor C.
E dunque? "Riscontrata l’irregolarità - prosegue il documento - si è dovuto procedere a rettifica...". In più, lo stesso presidente della Sezione di Monza è dovuto intervenire a voce con una reprimenda "per evitare il ripetersi di simili incresciosi inconvenienti". Ma non finisce qui. "Malgrado ciò, oggi si presentava in ufficio un (altro) invalido che, pur dichiarando ‘sotto la sua personale responsabilità di non aver mai percepito da altro Ente l’indennità di L. 1000’, trattandosi di visita medica subita il 15/6/1943 veniva rimandato in attesa di esito di accertamenti". Si tratta questa volta di un invalido che ha già percepito l’assegno ma vorrebbe riceverlo una seconda volta. E anche in questo caso, è sempre il signor C. ad aver trattato la sua pratica. Una volta vistasi bloccare la procedura per accertamenti, però, mangia la foglia. "Egli però ritornava subito dopo, per essere stato a trovare il sig. C., per asserire che forse doveva aver di già riscossa l’indennità richiesta, ma che non si ricordava bene". Una strana dimenticanza, non c’è che dire. L’impiegato C. prova a rimediare. E "più tardi si è presentato in ufficio il sig. C. a dichiarare che era stata sua distrazione a non controllare la cartella, in quanto risultava di aver già svolta la pratica inerente al richiesto pagamento e con esito favorevole". Tutto a posto? Non proprio, l’impiegato C. è furente con chi il capo ufficio che lo ha smascherato. Spiega quest'ultimo: "Subito dopo chiedeva di parlarmi in separata sede... Nel cortile della caserma mi accusava di essere stato io la causa della sua sospensione dall’impiego, cosa non vera in quanto egli sarebbe stato solamente diffidato e non sospeso dall’impiego".
Conclusione, "non ho potuto fare a meno di richiamarlo all’ordine per l’atteggiamento di prepotenza minacciosa dicendogli che la sua sospensione doveva attribuirla invece ad altre sue malefatte e specialmente nell’aver voluto creare invalido di guerra chi non era tale". Il capo ufficio chiude chiedendo di procedere nei confronti del sig. C. per il reato di calunnia, aggravato per il proprio ruolo di pubblico ufficiale, e quindi "non devo essere impunemente offeso; chiedo che si proceda a termine di legge anche per prevenire i possibili ulteriori atti inconsulti del C., dimostratosi addirittura irragionevole, e ciò perché le sue inadempienze ai doveri d’ufficio non abbiano eventualmente a coinvolgere anche me".