Evade per dare la caccia alla sua ex "Devo finire quello che ho iniziato"

Vincenzo Serio era ai domiciliari col braccialetto elettronico: bloccato a Parma dopo 8 giorni di indagini. Nel luglio del 1998 uccise una donna nel quartiere palermitano di Brancaccio con sessanta coltellate

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di Nicola Palma

Ore 20.48 del 31 maggio, via Venezia, zona industriale di Parma. C’è un uomo al telefono che sta camminando tra le auto in sosta. I carabinieri lo cercano da 8 giorni: è Vincenzo Serio. I militari lo chiamano per nome: lui si gira di scatto, e in un attimo gli sono addosso. Poco lontano c’è la Fiat Panda oro metallizzato che ha rapinato qualche ora prima a un’anziana a Veduggio con Colzano: sui sedili posteriori c’è ancora il vassoio di pasticcini che la proprietaria aveva preso in consegna da un’amica prima di essere aggredita. Finisce così la fuga del quarantaquattrenne palermitano evaso dai domiciliari il 23 per dare la caccia alla moglie, a cui imputa di avergli portato via il figlio che hanno avuto insieme. Per più di una settimana, gli investigatori della Compagnia di Pioltello, guidati dal capitano Francesco Berloni, e i colleghi del Nucleo investigativo di Milano, coordinati dal colonnello Michele Miulli e dal tenente colonnello Antonio Coppola, ne hanno seguito gli spostamenti dalla Sicilia all’Emilia Romagna, temendo che potesse rintracciare la donna, che nel 2020 l’ha querelato per maltrattamenti in famiglia, e il piccolo che con lei (e gli altri quattro bambini nati da relazioni precedenti) ha trovato temporanea accoglienza in una comunità per vittime di violenza domestica.

Del resto, l’uomo aveva più volte palesato le sue intenzioni, con frasi come "Mi riprenderò quello che è mio" e "Devo finire quello che ho iniziato", facendo chiaramente pensare a un finale drammatico. Uno scenario reso ancor più probabile dal precedente pesantissimo che compare nel curriculum criminale del pregiudicato: il 22 luglio 1998, l’allora ventenne Vincenzo uccise la vicina di casa Aurora Labruzzo, accoltellandola per 60 volte nella sua abitazione al quartiere Brancaccio. Scontata per intero la pena, Serio prova a rifarsi una vita con Anna (nome di fantasia), ma a pochi mesi dalla scarcerazione definitiva viene nuovamente arrestato per una rapina in un ufficio postale di Salsomaggiore Terme che gli costerà una condanna a 4 anni, 6 mesi e 26 giorni. Poi arriva la denuncia della moglie a una caserma del Lecchese, dove la coppia si è trasferita nel frattempo. Lei e i figli vengono ospitati in un centro protetto; lui se ne torna in Sicilia, col braccialetto elettronico a casa dei genitori. Il 23 maggio, però, Serio contatta la centrale operativa dei carabinieri di Palermo per avvisare dell’evasione. Di lui si perdono le tracce: di tanto in tanto, attiva il cellulare per brevi chiamate alla madre. La notizia viene comunicata immediatamente da Palermo a Milano, e da lì i carabinieri, d’intesa con la Procura, avviano la procedura per localizzare il telefono. Ne ricavano poco, perché l’uomo lo accende solo quando si trova tra Fidenza e Parma (dove forse ha un appoggio), così da far pensare agli investigatori che non ha intenzione di andare in Lombardia a cercare la moglie. E invece alle 17.30 del 31 maggio Serio compare a Veduggio: aspetta che una donna azioni l’apertura centralizzata della sua Panda e ci entra dallo sportello anteriore destro. La conducente scende per chiedere aiuto. Lui la spinge a terra, si mette al volante e si allontana; nel tentativo di fermarlo, la donna riesce a strappargli gli occhiali.

Tre ore e 18 minuti dopo, ecco la svolta in via Venezia: Serio viene bloccato dai militari. Scatta la perquisizione dell’utilitaria, di cui la proprietaria ha già denunciato la rapina ai carabinieri di Besana Brianza: dentro ci sono il taglierino usato dal quarantaquattrenne per tagliare il braccialetto elettronico (poi buttato in un torrente), uno scontrino che attesta l’acquisto di due paia di occhiali e due biglietti autostradali emessi nel tardo pomeriggio dai caselli di Milano Sud e Sesto, che provano gli spostamenti di Serio. Quando gli investigatori gli fanno sapere che la derubata ha riportato lesioni a una mano, lui si lascia scappare: "Se avessi voluto farle del male, avrei usato il cutter". E l’evasione? Sostiene di essersi allontanato per trovare un avvocato che lo aiutasse a presentare alcune istanze all’autorità giudiziaria. Scuse per nulla credibili e del tutto insufficienti per evitargli il fermo di indiziato di delitto e il trasferimento nel carcere di Parma.