Delitto Vivacqua, processo infinito: manca il movente, terzo appello

Il rottamaio siciliano era stato ucciso nel 2011, ma per la Casssazione bis non è mai stato dimostrato il perché dell’omicidio

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Si è aperto ieri, a 9 anni dai fatti, il terzo processo di appello (che corrisponde al sesto giudizio) per gli imputati dell’omicidio di Paolo Vivacqua. Si deve cercare un granitico movente, ma solo la difesa ha chiesto nuove istanze istruttorie. In quattro sono ancora chiamati davanti a una nuova terza sezione della Corte di Assise di Appello di Milano per l’uccisione del rotamat siciliano, ammazzato il 14 novembre 2011 con 7 colpi di pistola nel suo ufficio di Desio. I giudici devono decidere sulla responsabilità per il presunto mandante Diego Barba e il presunto intermediario Salvino La Rocca, condannati a 23 anni ciascuno. E solo sull’aggravante della premeditazione per Antonino Giarrana e Antonino Radaelli, ritenuti esecutori materiali del delitto (già in carcere per il successivo omicidio della consuocera di Vivacqua, Franca Lojacono) e condannati all’ergastolo. Nella prima sentenza di appello i magistrati milanesi avevano avallato in toto la decisione dei giudici della Corte di Assise di Monza. Nel primo ricorso in Cassazione presentato dalla difesa degli imputati, invece, la Suprema Corte ha disposto di rinnovare il processo per trovare un movente certo per l’omicidio. La Corte di Assise di Appello bis ha confermato le condanne di primo grado per tutti gli imputati, confermando il movente della "ricerca del borsone con i 5 milioni di euro" ottenuti dalla vendita dei terreni per la realizzazione del Bricoman di Carate Brianza dal “Berlusconi di Ravanusa”.

Poi però la Corte di Cassazione bis, su ricorso delle difese, ha annullato nuovamente la sentenza di appello bis con rinvio per il sesto giudizio su questa storia infinita. Mentre Barba e La Rocca sono stati nel frattempo scarcerati per scadenza dei termini di custodia cautelare. "I profili di manifesta illogicità sul movente dell’omicidio segnalati nella sentenza di annullamento risultano del tutto elusi e non razionalmente superati nella sentenza impugnata per irrisolta esplorazione delle plurime causali alternative - hanno sostenuto i giudici della Cassazione bis - Non corrisponde a criteri di logica comune ipotizzare che il Vivacqua – da solo – andasse in giro con una valigetta contenente svariati milioni di euro o, in alternativa, lasciasse tale valigetta per più giorni in un ufficetto con affaccio a fronte strada non fornito di particolari sistemi di sicurezza. Inoltre, come le risultanze hanno ampiamente dimostrato (denaro addosso alla vittima non trafugato, cassaforte non aperta) gli esecutori del delitto non approfittarono della situazione per impossessarsi di denaro, né l’aver messo a soqquadro il ripostiglio dell’ufficio può confermare l’ipotesi della ricerca della fantomatica valigetta". Come sostiene la difesa degli imputati, secondo cui ogni giudice ha trovato un movente diverso per l’omicidio: prima la gelosia dell’ex moglie, ritenuta la mandante del delitto e invece assolta, poi il movente economico. All’udienza di ieri, però, la Procura generale non ha presentato alcuna richiesta di istruttoria nuova o da approfondire, istanza fatta solo dalla difesa. Il 21 gennaio la discussione del processo.

S.T.