
Monza 23 settembre 2023 – Marco ha 14 anni. Vive in uno sperduto villaggio rurale del Guatemala. Lì non arrivano né luce né gas. La sua famiglia è Maya, i nativi di quelle terre, ancora oggi tra le fasce di popolazione più povere ed emarginate del Paese. Tutti lavorano la terra, solo pochissimi imparano a leggere e scrivere. E quando hanno scoperto che Marco aveva la leucemia non è stato facile andare avanti. Perché per accompagnarlo nella grande città, l’unico luogo dove si può curare la leucemia in Guatemala, il viaggio è molto lungo e comporta difficoltà per l’intera famiglia: viene meno sia un aiuto per il lavoro nei campi sia l’accudimento dei figli più piccoli che devono restare senza la madre per molti giorni. Ma quando le speranze ormai si stavano spegnendo, l’incontro con i medici della Children Global Medicine del Centro Maria Letizia Verga, coordinato da Marta Verna e Marta Canesi ha cambiato la vita di Marco e della sua famiglia. Perché oggi quel ragazzino "fragile e introverso" può dire di essere guarito dalla leucemia mieloide acuta. Grazie a un trapianto autologo in Guatemala. Una storia a lieto fine iniziata due anni fa con l’avvio di un’unità trapianto a Città del Guatemala che poi si è estesa ai paesi della rete dell’Associazione di emato-oncologia pediatrica del Centro America, a partire da El Salvador.
"Si tratta di un traguardo che mostra con chiarezza cosa intendiamo quando parliamo di “capacity building”, il nostro impegno a condividere pratiche e competenze perché attecchiscano in tutto il mondo e proseguano nel tempo, creando nei territori strutture capaci di procedere in autonomia e diventare un riferimento anche per i paesi limitrofi", l’impegno di Marta Verna, coordinatrice del progetto, il terzo portato avanti dal Comitato Verga dopo il successo dei precedenti nel Kurdistan iracheno e in Paraguay dove, oltre all’autotrapianto, è stato sviluppato anche il trapianto da donatore. Un “contagio positivo” che ha portato alla realizzazione in Guatemala di un centro che oggi lavora con la supervisione da remoto degli specialisti monzesi, mentre è in corso la formazione dei vicini specialisti di El Salvador, il secondo Paese centroamericano ad adottare questa strategia terapeutica. Sono corridoi verso la speranza di una gurigione. Come è successo per Marco. "Questi pazienti e le loro famiglie rappresentano una sfida non soltanto sul piano clinico ma soprattutto su quello dell’incontro e dello scambio – continua Verna –. Marco era un ragazzino fragile, chiuso in se stesso, sua mamma molto silenziosa e poco abituata a rassicurarlo. Ed entrambi erano diffidenti verso medici e infermieri, per nulla abituati a ritrovarsi oggetto di cure e attenzioni". Ed è proprio in questi casi che il team della Children Global Medicine si connettono con i loro giovani pazienti e le famiglie: "Parte del nostro lavoro consiste anche nel costruire un codice comunicativo comune, per poter creare fiducia e alleanza terapeutica".
Ora, "dopo alcuni giorni difficili in terapia intensiva – l’ultimo referto di Marta Verna –, la situazione di Marco si è stabilizzata ed è potuto tornare nel suo campo. Viene in città solo per fare i controlli e indossa sempre la maglietta della sua squadra di calcio del cuore che gli abbiamo regalato: oggi ne è felice, anche se la sorpresa di ricevere un regalo all’inizio lo aveva addirittura spaventato". E dopo Marco i medici monzesi sono pronti a nuovi pazienti. A formare nuovi medici di Paesi con risorse limitate per la cura e la ricerca. Questa è la missione della squadra del Centro Maria Letizia Verga e del progetto coordinato da un comitato scientifico capitanato da Valentino Conter e composto da Marta Verna, Marta Canesi e Maria Luisa Melzi: una alleanza terapeutica tra medici, infermieri e familiari per guarire anche un solo bambino in più.