Cuzzi, il Lawrence d’Arabia brianzolo prigioniero della prima jihad

Nelle ricerche confluite nel libro appena pubblicato dallo storico Domenico Flavio Ronzoni

Soldati jihadisti (Ansa)

Soldati jihadisti (Ansa)

Monza (24 novembre 2019) - Africa. Sudan. Ultimi anni dell’Ottocento. Orde di guerriglieri musulmani conquistano uno dopo l’altro ogni villaggio, ogni città. Passano a fil di spada, a volte decapitano gli odiati Occidentali, gli odiati Britannici. Quelle truppe coloniali che da tempo hanno allungato le mani su quelle terre, sulle loro risorse e sui loro abitanti. Alla loro testa c’è un condottiero carismatico, capace di radunare attorno a sé migliaia di fedeli. Si chiamano dervisci. E lui si chiama Muhammad Ahmad, l’autoproclamato Mahdi. È la prima jihad dell’era moderna.

Quando dopo Karthoum cade nelle mani del Mahdi anche la cittadina di Berber, fra le centinaia di stranieri caduti prigionieri del nuovo Califfato c’è anche un brianzolo. Si chiama Giuseppe Cuzzi. Nato e cresciuto a Nava, oggi frazione di Colle Brianza, è uno spirito inquieto. Garibaldino, avventuriero, agente di commercio in Africa, forse doppiogiochista. Forse vittima solo della sua curiosità e del suo spirito di avventura "La mia idea fissa era sempre nel viaggiare, avevo l’argento vivo in corpo. La mia mente era sempre trasportata a terre lontane". Così si raccontava lui stesso. Protagonista misconosciuto di una vita da romanzo, per quasi quindici anni rimase prigioniero della prima jihad dell’epoca moderna. A riannodarne in maniera certosina la storia è stato lo storico brianzolo Domenico Flavio Ronzoni, insegnante in pensione e già autore di diversi libri. E soprattutto curioso, come ogni ricercatore dovrebbe essere. Avventuriero, garibaldino, innamorato dell’Africa, agente di commercio, esploratore, «dare una definizione di Giuseppe Cuzzi è difficile» premette Ronzoni, ma senza dubbio la sua vita, ricostruita col piglio rigoroso dello storico, potrebbe essere degna di un romanzo alla Conrad.

"Mi sono imbattuto in lui quasi per caso – racconta Ronzoni -, grazie a un vecchio libro trovato su una bancarella di Milano. Da lì, per sette anni, ho pensato a lui". Ricostruire la vita di Cuzzi non è stato semplice. "Le sue memorie sudanesi erano state raccolte da un giornalista tedesco che lo aveva incontrato in Egitto e che stampò il suo libro intervista a Lipsia nel 1900... Di quell’opera però non c’era però più traccia, fino a quando ne ho trovata l’unica copia italiana alla Biblioteca Braidense. Sono stato anche all’Archivio Storico del nostro Ministero degli Esteri per reperire documenti fondamentali sulla sua storia". "Giuseppe Cuzzi - racconta - era figlio di un medico condotto. Già all’età di 16 anni tentò di lasciare la casa paterna per unirsi a Garibaldi ma fu rimandato indietro perché troppo giovane. Anni dopo riuscì però a farsi accettare e si battè per anni al fianco del condottiero, anche in Francia. Poi in Montenegro".

La svolta? "Quando si diede ai commerci e, dopo aver conosciuto Manfredo Camperio, geografo ed esploratore milanese, si ritrovò in Sudan». Un luogo turbolento, però, dove scoppiò la rivolta del Mahdi, il condottiero sudanese Muhammad Ahmad, «considerato l’ispiratore della prima jihad dell’era moderna, capace di estendere il suo Califfato, in chiave anti-europea e anticoloniale, in una zona vastissima dell’Africa che abbracciava Sudan, Egitto, Eritrea, Uganda". Cuzzi, che era stato scelto come proprio agente dal generale britannico Charles Gordon, soprannominato in Sudan Gordon Pascià, venne fatto prigioniero nel 1884. «Anni difficili, nei quali Cuzzi fu costretto a convertirsi all’Islam per sopravvivere ma sui quali grava l’ombra lasciata dal suo ex protettore Gordon, che lo tacciò di tradimento». 

Liberato nel 1898 dopo la definitiva vittoria degli Inglesi sui mahdisti, Cuzzi potè finalmente tornare in Italia. Ma qui lo attendevano la miseria e l’oblio. Impossibile per lui riuscire a trovare un riscatto dopo la lunga prigionia, inutili i tentativi di riabilitare il proprio nome e di ottenere dal Governo britannico, nonostante una causa durata anni, i soldi che credeva di meritare per i suoi passati servigi alla Corona. "Alla fine morì in miseria al Pio Albergo Trivulzio, alla Baggina". Unico suo lascito, i documenti e gli oggetti portati dalla sua lunga esperienza africana e affidati alla figlia avuta in quel Continente. Tutto andato perduto o quasi. 

Ronzoni è riuscito a trovare, custoditi a Verona nel Museo Africano dei Padri Comboniani, un abito da derviscio e una corona islamica, che Cuzzi raccontava di aver ricevuto proprio dal Mahdi. "È vero, quella di Giuseppe Cuzzi potrebbe essere una vicenda d’avventura e romanzesca, il cui apice fu vissuto in una “Terra incognita” come a quell’epoca era percepita da molti Occidentali l’Africa". 

Il libro , intitolato “Un italiano a Karthoum – Giuseppe Cuzzi, un garibaldino dalla Brianza all’Africa (1843-1923)” è stato appena pubblicato dalla casa editrice “La vita felice”, quarto volume della collana “Le Brianze”, di cui inaugura la sezione “Biografie”.