Covid e Remdesivir: la cura perfetta studiata al San Gerardo di Monza

Senza errori lo studio di ospedale e università sugli effetti del farmaco sui pazienti critici

Ospedale, reparto Covid

Ospedale, reparto Covid

Monza -  Una durata più breve del periodo di intubazione e una maggiore probabilità di dimissione dall’ospedale. L’uso del farmaco Remdesivir "sembra promettente nei pazienti gravissimi che hanno bisogno della ventilazione meccanica". Una prospettiva di cura dimostrata da uno studio – eseguito dall’università Bicocca e dall’ospedale San Gerardo di Monza – che la prestigiosa rivista scientifica “Clinical Microbiology and Infection“ ha definito un modello da seguire. A prova di errore. "Sfuggire alle insidie che si nascondono negli studi osservazionali sull’efficacia dei farmaci è impresa tutt’altro che facile, soprattutto quando il fattore tempo gioca un ruolo determinate come nel caso della lotta alle infezioni da SARS-CoV2", spiega Maria Grazia Valsecchi. Direttrice del dipartimento di Medicina e Chirurgia dell’Asst Monza, nel suo ruolo di professoressa di Statistica medica insieme al collega Davide Paolo Bernasconi, ha analizzato i casi in cura nel reparto di terapia intensiva del San Gerardo. Arrivando ad "aggiungere un tassello importante perché i nostri risultati fanno vedere che i pazienti molto gravi hanno avuto un beneficio dall’utilizzo del Remdesivir". Dati attendibili. Come conferma la pubblicazione che ha sottoposto a revisione metodologica 11 pubblicazioni di quattro tra le riviste scientifiche più autorevoli. Tutti questi studi sono incorsi in uno o più ‘bias’ (ovvero pregiudizi) metodologici nel riportare i risultati di studi osservazionali, con il conseguente rischio di giungere a conclusioni fuorvianti. Mentre quello monzese è stato segnalato come esempio di studio metodologicamente corretto. Riconoscendo, dunque, valore anche ai risultati. Lo studio ha esaminato l’efficacia di tre tipologie di trattamento antivirale nei pazienti Covid: con idrossiclorochina, con lopinavir/ritonavir e con remdesivir.

«Nei primi due casi – spiega Giuseppe Lapadula, medico nel reparto di Malattie infettive del San Gerardo – si sono avuti risultati irrilevanti nei pazienti con sintomatologia gravissima che necessitano di ventilazione meccanica. Al contrario, con il remdesivir si sono avuti risultati interessanti perché abbiamo riscontrato una durata più breve del periodo di intubazione e una maggiore probabilità di dimissione dall’ospedale". Certo, "il nostro non era uno studio randomizzato", cioè i pazienti non sono stati preventivamente assegnati in modo casuale a due gruppi - quello sperimentale che riceve il trattamento e quello di confronto -, ma "abbiamo analizzato successivamente quello che è stato fatto nella pratica clinica". Tuttavia "indica una strada da battere". "Il fatto, poi, che sia stato riconosciuto che i risultati ottenuti non sono inficiati da errori metodologici ne rafforza il valore - aggiunge Valsecchi -. Al momento l’utilizzo del remdesivir è indicato per i pazienti che hanno una insufficienza respiratoria moderata ma non la forma critica della malattia. È auspicabile che si valuti ancora l’opportunità di usare il remdesivir anche nei pazienti che necessitano di trattamento intensivo o sub-intensivo, conducendo ulteriori e più approfonditi studi".