BARBARA APICELLA
Cronaca

Vaccino coronavirus: "Non sono una cavia: è la cosa giusta da fare"

La testimonianza di un 30enne monzese che si è candidato come volontario per la sperimentazione del vaccino svolta al San Gerardo

Emergenza Coronavirus

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Monza, 25 agosto 2020 - Stefano (il nome è di fantasia) 30 anni, monzese, operatore sanitario, anche lui contagiato dal Covid che per un mese e mezzo lo ha costretto a restare isolato in casa. Stefano è uno degli oltre cento volontari che hanno risposto all’appello lanciato all’inizio di agosto dall’Asst Monza. L’azienda socio sanitaria territoriale di Monza condurrà con l’Università Milano Bicocca la sperimentazione sull’uomo del vaccino italiano contro il coronavirus prodotto da Takis e Rottapharm Biotech. Nella Fase 1 dei test verranno coinvolti 80 volontari sani, mentre nella Fase 2 i volontari saliranno a 200: tra loro potrebbe esserci anche Stefano. 

«Non appena ho letto l’annuncio dell’Asst Monza ho inviato un’email per candidarmi e dopo poche ore ho ricevuto la risposta positiva – racconta Stefano – Non ci ho pensato due volte: è la cosa giusta da fare. Non sono un eroe, non sono un martire, non sono una persona migliore rispetto alle altre. Il vaccino è l’unico strumento che abbiamo per sconfiggere il Covid e se posso darò il mio contributo». Stefano ha piena fiducia nella scienza e nella sanità italiana. «La modalità della sperimentazione scientifica è seria: non siamo mandati allo sbaraglio, ci sono alla base uno studio e una ricerca. Non è un lancio nel vuoto senza un paracadute. Spero di poter contribuire». 

La voglia di fare a Stefano non è mai mancata: dopo aver superato il Covid ha donato il plasma. Adesso ha deciso di candidarsi per la sperimentazione del vaccino italiano. Il giovane è stato convocato a settembre al San Gerardo per un primo colloquio, poi ci sarà la decisione. «Mi sono informato anche con un’amica ricercatrice – prosegue – Sono tranquillo, se al momento dovessi avere paure o dubbi ho sempre tempo per ripensarci». I possibili dubbi sono legati ad eventuali effetti collaterali a lungo termine. «Non mi spaventano variazioni di peso, d’umore o la perdita dei capelli. Mi spaventano di più i problemi cardiaci o legati al sistema nervoso. Forse, solo in quel caso, potrei tentennare. Ma non penso. Non mi sento una cavia, ma un uomo che sta facendo qualche cosa di utile per la collettività in questo delicato momento storico». 

Stefano è tranquillo e nel frattempo pensa alle vacanze. Nella mente le immagini ancora chiare di quel mese e mezzo confinato in casa con il coronavirus. «Per fortuna non sono finito in ospedale. Mi sono accorto perché avevo perso il gusto e l’olfatto che, peraltro, non ho ancora totalmente recuperato. Non sentivo neppure l’odore della candeggina, non distinguevo il sapore del caffè». Un mese e mezzo isolato in casa, non ha mai raccontato del contagio neppure ai genitori, ai parenti e agli amici che lo immaginavano impegnato al lavoro. Solo la fidanzata sapeva che Stefano era a casa in quarantena e fortunatamente con sintomi leggeri. Stefano non ha dimenticato quello che ha vissuto sulla sua pelle e quello che ha visto una volta tornato al lavoro. «Il Covid mi ha reso meno attivo socialmente: evito pub e bar, al massimo mi concedo una cena al ristorante con tutte le precauzioni. Preferisco invitare amici e parenti a casa, solo quelli più intimi, non più di cinque per volta. In vacanza rimarrò in Italia, niente hotel ma casa in affitto. Naturalmente con tutte le precauzioni e sempre munito di mascherina e gel igienizzante».