"Così combattiamo il Coronavirus a Hong Kong"

Mascherina , tecnologia e confini chiusi: il monzese Francesco Grillo, in Asia da 13 anni, racconta la convivenza senza panico con la malattia

Francesco Grillo con il figlio Damiano

Francesco Grillo con il figlio Damiano

Hong Kong, 26 marzo 2020 - "La mascherina in Cina è stata da subito il simbolo della solidarietà tra i cittadini. La si usa non tanto per se stessi, ma per non fare preoccupare gli altri. È un simbolo di rispetto. Solo in Italia si è detto che non serviva a nulla. Forse perché le mascherine non si trovavano e si dovevano dare solo a chi ha bisogno?". Francesco Grillo, monzese trapiantato per amore e lavoro a Hong Kong, dove vive con la moglie Jaimie, avvocata nata a Londra, e il piccolo Damiano di 4 anni (il nome è in onore del nonno), ha molto da raccontare su come questa parte del mondo, culla del terribile Coronavirus, stia riuscendo a sopravvivere nel confronto durissimo con la malattia. E qualche suggerimento l’ha già dato, nelle settimane precedenti allo scoppio dell’emergenza, ai suoi genitori, che vivono ancora a Monza e che hanno seguito le indicazioni alla lettera.

"Si sono subito chiusi in casa cercando di uscire il meno possibile", racconta Francesco, che da 6 anni vive ad Hong Kong, ma, tra Pakistan e Cina, è in Asia da 13. Ragazzo prodigio brianzolo, oggi a 42 anni dirige la filiale locale di un’azienda di Torino leader nel commercio di tubi in acciaio per progetti di impianti petrolchimici.

Francesco, cosa poteva o può ancora fare l’Italia per fronteggiare il contagio? "In Italia si è pensato e detto di voler copiare il modello cinese, ma senza la coerenza e la capacità di costruire consenso, anzi diffondendo dubbi e confusione. Nel frattempo la Cina ha messo in piedi ospedali in dieci giorni e si è costruita tutti gli anticorpi per poter cogliere i vantaggi di una situazione ribaltata, con le democrazie occidentali che ora sono in crisi".

Nel modello cinese, dopo l’iniziale sottovalutazione, si è chiuso tutto in modo ferreo. Il modello di Hong kong è stato diverso? "Sì. Hong Kong ha approfittato di una settimana di vantaggio per isolare i pochi casi registrati. Così avrebbe dovuto fare l’Italia. Già a fine gennaio sono stati chiusi tutti i confini con la Cina e sono stati messi in quarantena quanti fossero stati a Wuhan e dintorni. Chiusi musei, scuole, impianti sportivi e cancellato ogni evento. Per entrare ovunque si misura la temperatura e la gente esce sempre con la mascherina".

Altri accorgimenti? "La prima raccomandazione diffusa è stata quella di bere più acqua possibile. Questo virus sembra che non ami l’umidità e bisogna evitare di avere le vie respiratorie secche. Si gira con la borraccia nello zaino e si beve un sorso ogni 15 minuti. Se si è in ufficio si beve il tè. E poi l’igienizzazione di tutte le superfici, importantissima, e il controllo della temperatura a chi entra ovunque".

Ora però il virus sembra avere ripreso quota anche da voi... "I numeri dei contagi stanno aumentando. Avevano tenuto sui ento casi per un mese e ora siamo a quota 350. Tutti casi importati dall’estero e da pochi eventi tipo matrimoni e palestre. Vengono comunque tracciati tutti e messi i quarantena in strutture organizzate. E da queste ultime ore i turisti non possono più entrare a Hong Kong come a Singapore dal giorno prima. Entrano solo cittadini di Hong Kong, Macao e Taiwan, e comunque dopo la quarantena. Si fanno tanti tamponi, i positivi vengono tracciati, e i ristoranti non servono più alcol, per disincentivare le uscite la sera. I locali pubblici sono chiusi e la metropolitana è chiusa dalle 9 di sera".

Ha a più paura a stare lì o ha più paura a pensare ai suoi cari a Monza? "Qui a Hong Kong non ho mai avuto paura, qui i numeri sono stati sempre minimi, sono andato pure a sciare nell’Hokkaido a metà febbraio. Ovviamente con tutte le precauzioni del caso, tipo la mascherina nei mezzi e nei locali pubblici. Gli amici italiani mi chiedevano preoccupati come andava a Hong Kong, e ora gli amici cinesi mi chiedono come sta la mia famiglia in Italia. Molti fornitori o clienti cinesi mi chiedono se abbiamo bisogno di mascherine, ma tanto in questo momento non si riescono ad importare in Italia".

Ha mai pensato nei mesi scorsi, di fronte al dramma che scoppiava in Cina, di scappare in Europa? "Non ho mai davvero pensato di tornare in Europa perché ritenevo il viaggio a rischio, soprattutto per mio figlio, e perché non volevo rischiare di infettare i miei genitori e la mia famiglia al ritorno".

Ha avuto amici contagiati? Come vi siete comportati? "Non conosco nessuno contagiato, ma conosco almeno una decina di persone sotto i quarant’anni in Italia che hanno avuto la polmonite negli ultimi due mesi e ho il serio sospetto che fosse coronavirus".

Come avete affrontato il Coronavirus in famiglia, con un bambino piccolo? "Mia moglie è di natura più apprensiva. Ma è anche organizzatissima: già prima del capodanno cinese aveva comprato online le mascherine che solo la settimana dopo erano introvabili. Quando invece sono tornato dal Giappone mi voleva mettere lei in quarantena. Da allora, e sono già tre settimane, non ho visto i suoi genitori, non so se per caso... Mio figlio invece è come me: l’altro giorno ha detto “mamma, io non ho paura del virus”. È contento che la mamma lavori da casa da due settimane, mentre io ho scelto di continuare ad andare in ufficio per poter lavorare meglio. Damiano non va a scuola da più di un mese e mezzo ma si trova comunque sempre con qualche amichetto per giocare. Piccoli gruppi per evitare troppi rischi. Qui a Hong Kong non siamo mai stati sigillati in casa, ma abbiamo ridotto al minimo le occasioni di contagio. Senza panico".

Come pensa che ne uscirà l’Italia? E l’Europa? L’Inghilterra aveva scelto un’altra strategia, salvo poi cambiare drasticamente... "L’Italia ne uscirà grazie alle sue incredibili doti di adattamento, ma ne uscirà fortemente indebolita su tutti i fronti. Ho la seria convinzione che i numeri degli altri paesi europei raggiungeranno presto quelli dell’Italia. Da osservatore colpisce come ogni paese, almeno all’inizio, abbia pensato di affrontare l’emergenza con metodi totalmente differenti, in base alle proprie priorità".