Licenziamenti alla Ceme: gli operai dicono "no" all’accordo

Non convincono le proposte aziendali per "ammorbidire" i 97 tagli

Una manifestazione alla Ceme

Una manifestazione alla Ceme

Brugherio, 19 luglio 2017 - Gli operai della Ceme bocciano il pacchetto di misure proposto dall’azienda per «ammorbidire» gli effetti del licenziamento dei 97 dipendenti e la chiusura della fabbrica a Carugate. La stessa dove un anno fa era migrato il personale di Brugherio, una cinquantina di persone, dopo la serrata del sito brianzolo.

Fumata nera in assemblea, ieri pomeriggio, per quelle 30 assunzioni promesse dai terzisti lombardi che erediteranno le commesse del colosso delle elettrovalvole nell’hinterland, i 15 trasferimenti in autunno nella sede di Trivolzio, nel Pavese e l’outplacement, per il resto, cioè percorsi di ricollocamento pagati dalla proprietà. Per i sindacati, «i conti non tornano». «Qui siamo a 45 posizioni più o meno definite – spiega Andrea Ricci della Fim Cisl – all’appello manca più della metà della forza lavoro».

«Servono più garanzie», aggiunge il sindacalista, dopo l’incontro con le maestranze. «Il percorso di riqualificazione non dà affatto la garanzia del posto», spiegano gli interessati.

Parole che raccontano quanto sia lontano l’accordo, nonostante l’auspicio dei manager di «trovare presto la soluzione». Il 24 le parti si incontrano al ministero dello Sviluppo Economico. Fim e Fiom ripeteranno la loro proposta: ritiro dei licenziamenti e ricorso agli ammortizzatori sociali. «Siamo disposti a rivedere gli orari di lavoro al ribasso, con annessi e connessi».

Ma Ceme ribadisce fuori dalle stanze della trattativa che «ha la necessità di riorganizzare e di esternalizzare l’attività per mantenere le quote di mercato». «Una minestra riscaldata» per le tute blu, che ricordano che «il marchio non è in crisi».

I tagli annunciati a inizio giugno, arrivano a 11 mesi dall’ultima riorganizzazione che aveva visto 90 dipendenti del sito cittadino (molti di Brugherio) costretti a sobbarcarsi ogni giorno 120 chilometri di pullman per continuare a timbrare il cartellino, anche se nello stabilimento della Bassa. È qui, oltre che a Tarquinia, nel Lazio, che l’industria metalmeccanica ha concentrato il grosso della manodopera: 500 addetti.

L’azienda spedisce più dell’85 per cento della propria produzione in 60 Paesi all’estero; i container dei suoi prodotti seguono tre direttrici: Europa, Asia e Nord America.

Per gli operai, invece, è partito il conto alla rovescia che li priverà dello stipendio. A meno di trovare la quadra. Per arrivarci c’è tempo fino al 20 agosto. E il governo potrebbe giocare un ruolo determinante.