ANTONIO MANCINELLI
Moda

Giorgio Armani è morto, la sua rivoluzione silenziosa no

Addio all’uomo che ha insegnato al mondo la misura, la sobrietà e la forza tranquilla dell’eleganza. Fatturava miliardi, ma conservava l’anima: indipendente, non ha mai ceduto ai colossi del lusso. Diceva di sé: “Mi manca non avere avuto figli. Sarei stato un buon padre”

Addio a Giorgio Armani, lo stilista è morto a 91 anni

Addio a Giorgio Armani, lo stilista è morto a 91 anni

L’ultimo gesto, come sempre, è stato riservato, proprio come lui. Pochi giorni fa Giorgio Armani aveva acquistato La Capannina di Forte dei Marmi. Il locale dove da giovane osservava l’élite estiva sfilare tra cocktail e sigarette, lui seduto in disparte, già intento a decifrare i codici dell’eleganza.

Il principio e la fine della storia

È lì che tutto era cominciato. Ed è lì che ha scelto di chiudere il cerchio. Senza nostalgia. Con coerenza. Oggi Giorgio Armani non c’è più. È morto, lasciando un vuoto che non ha il suono dello sconcerto ma quello, più penetrante, dell’assenza. La sua figura austera, i completi impeccabili, il profilo magro e composto: tutto di lui sembrava progettato per durare oltre la durata delle cose. Aveva 91 anni, compiuti a luglio, e fino all’ultimo ha vegliato sul suo impero come un artigiano vigile, controllando la caduta perfetta di una giacca, la piega esatta di un orlo, il tono giusto di un colore.

-Repertorio-Morto all'eta' di 91 anni lo stilista Giorgio Armani
Giorgio Armani, morto a 91 anni

Un regno fatto di dettagli

È stato chiamato "Re Giorgio", ma la sua regalità non stava nei titoli: era un regno fatto di dettagli, di un’estetica che non imponeva, ma suggeriva. E invece se ne va anche lui, Re Giorgio, l’uomo che ha insegnato al mondo la misura, la sobrietà, la forza tranquilla dell'eleganza contemporanea. Con lui non scompare solo uno stilista. Scompare un intero vocabolario estetico. Una filosofia. Una forma di pensiero cucita sul tessuto. Chi lo conosceva sapeva che non c’era mai nulla di casuale nei suoi gesti.

La Rinascente, Nino Cerruti, Sergio Galeotti

L’acquisto della Capannina non era un vezzo. Era una dichiarazione. Un ritorno all’origine. Ha cominciato tardi: prima la medicina, poi il buyer – e non il vetrinista, come false leggende tramandano - nei grandi magazzini de La Rinascente. Ma qualcosa si muoveva dentro e fuori di lui. Nino Cerruti fu il primo a capirlo. Gli aprì la porta, e Armani vi entrò con il rigore di chi ha già un disegno in testa. Nel 1975 fondò la sua maison insieme a Sergio Galeotti, il compagno di vita e d’impresa. Indiscutibilmente lo stilista italiano di maggior successo della storia, Armani è stato anche il suo imprenditore di maggior successo. Era l'unico azionista della sua omonima azienda, Giorgio Armani S.p.a, i cui interessi si estendevano ben oltre l'abbigliamento per comprendere hotel, articoli per la casa e persino dolci.

La prima società avviata con la vendita del suo Maggiolino Volkswagen

L'attività che ha iniziato da zero nel 1975, finanziata con la vendita del suo Maggiolino Volkswagen, ha visto ricavi di 2,1 miliardi di euro nel 2019 e impiega circa 8.000 persone in tutto il mondo. La sua ricchezza personale è stata stimata in 12 miliardi di euro. Sorprendentemente, quando fondò la sua azienda, Armani aveva già 40 anni. Gli ci sarebbero voluti solo sette anni per passare da sconosciuta a star di copertina di Time Magazine, che nel 1982 rappresentava l'apice del riconoscimento culturale. Era nato l’impero più silenzioso della moda italiana.

“Sentivo i passi di milioni di donne nell’aria”

Il suo colpo di genio sembrò, all’inizio, un’eresia: smontare la giacca maschile, renderla fluida, destrutturata. Ma fu un terremoto. Perché quella giacca, morbida e insieme autorevole, la regalò anche alle donne. Non per travestirle da uomini, ma per dare forma alla loro avanzata sociale. “Sentivo i passi di milioni di donne nell’aria”, disse. E da lì cominciò la rivoluzione più gentile del Novecento. Armani ha capito prima di tutti che il lusso vero non ha bisogno di effetti speciali. Il suo colore manifesto, il greige, era la negazione stessa dell’urlo. E proprio per questo, parlava più forte.

L’eleganza è farsi ricordare (anche a Hollywood)

L’eleganza – ripeteva – non è farsi notare, ma farsi ricordare. Ha creato una moda che non vestiva solo il corpo, ma l’identità. Una moda che non distraeva, ma metteva a fuoco. La sua sobrietà divenne linguaggio globale grazie al cinema. L’atto che meglio riassume il suo impatto non è un abito da sfilata. È un’immagine del 1978: Diane Keaton, Oscar alla miglior attrice per Io e Annie, sale sul palco con un blazer Armani oversize, cravatta morbida, cappello e pantaloni larghi. Un completo maschile, ma indossato con grazia femminile. Sorridente, libera, impertinente.

Approfondisci:

Armani, lo stilista di Hollywood: da Richard Gere a Cate Blanchett, gli abiti delle star che hanno fatto la storia

Armani, lo stilista di Hollywood: da Richard Gere a Cate Blanchett, gli abiti delle star che hanno fatto la storia

Quella sera Hollywood cambia. Non è solo una diva a rifiutare il vestito da principessa. È una donna che prende il codice maschile e lo rifà suo. E quell’abito lo ha disegnato lui. Senza proclami. Ma con una visione nitidissima: liberare il corpo, dare forma alla libertà. Quel momento, immortalato su tutte le riviste, segna un punto di svolta. Armani capisce che non sta solo vestendo persone: sta dando loro un linguaggio per esistere. American Gigolò, Gli intoccabili, Heat, Casino: Armani firmava i costumi, ma in realtà riscriveva il codice visivo della creatività applicata. Il red carpet cambiò forma: prima di lui era barocco, dopo di lui divenne essenziale. Julia Roberts, Jodie Foster, Martin Scorsese lo portarono a Hollywood come un filosofo dell’immagine.

La moda, gli hotel, i ristoranti, spa e discoteca: l’impero Armani

Non si fermò. Emporio, Armani/Casa, gli hotel, i ristoranti, le spa, persino una discoteca. Ogni progetto era un’estensione della sua visione. La stessa linea pulita, la stessa ossessione per l’essenziale. Il suo era un impero, sì, ma mai volgare. Fatturava miliardi, ma conservava l’anima. Non cedette mai al richiamo dei colossi del lusso. Rimase indipendente. Per orgoglio, ma anche per etica. Dietro quella compostezza, però, c’era un uomo estremamente sensibile. La morte di Galeotti fu uno strappo che non guarì mai del tutto.

“Mi manca non avere avuto figli. Sarei stato un buon padre”

Parlava poco di sé, ma una volta ammise: “Mi manca non avere avuto figli. Sarei stato un buon padre”. Alla fine, i suoi figli furono le sue creazioni, i suoi collaboratori più fedeli, la famiglia che aveva scelto e costruito con disciplina e affetto. Perfino la successione l’aveva preparata con la stessa precisione con cui tagliava un tessuto pregiato. La sorella Rosanna, i nipoti, Pantaleo Dell’Orco. E una clausola precisa: il marchio dovrà rimanere fedele a uno stile essenziale, moderno, elegante e non ostentato.

Il pensatore più rigoroso della moda

Oggi che Giorgio Armani non c’è più, la moda perde il suo pensatore più rigoroso. L’eleganza perde il suo custode. La modernità perde il suo interprete più silenzioso. Armani ha dimostrato che la vera rivoluzione è saper sottrarre, non aggiungere. Che la libertà può stare in una giacca destrutturata. Che l’intelligenza si vede nei dettagli. La Capannina resta, come simbolo e segnale: un ritorno all’inizio non per malinconia, ma per coerenza. Come a dire che la modernità vera non è rincorrere il nuovo, ma riconoscere l’essenza. E ora, nel vuoto che lascia, la sua assenza pesa come un silenzio ben cucito. Un’eco sottile. Una lezione che continua a camminare tra noi. Con passo lieve. Come una giacca che scivola perfetta sulle spalle del tempo.