SANDRO PUGLIESE
Sport

Basket, Pozzecco: "In Serie A ci sono troppi stranieri"

Grande giocatore, oggi allenatore e sempre senza peli sulla lingua: "Sono figlio di un basket con 8 italiani in campo, ci divertivamo noi, la gente, i palazzetti erano pieni"

Gianmarco Pozzecco

Milano, 5 maggio 2020.  In panchina come in campo, Gianmarco Pozzecco continua ad essere la mosca atomica del nostro basket tirando fuori idee ed emozioni senza essere mai banale. Anche per questo la Federbasket gli ha affidato l'incarico di coach della nazionale sperimentale, oltre all'incarico di allenatore della Dinamo Sassari.

Con quale spirito vive questo incarico con la "Sperimentale"? "Con grande senso di responsabilità nei confronti di chi ha deciso che dovessi ricoprire il ruolo, ma anche di Sacchetti come coach della Nazionale A, di tutti i giocatori che coinvolgerò, ma in realtà nei confronti del basket italiano. L'idea da cui nasce è quella di cercare di migliorare i ragazzi, fornendo anche giocatori per la Nazionale A. Vorrei far vivere loro un'esperienza che li possa far crescere dal punto di vista della personalità e della consapevolezza dei loro mezzi. Far capire loro che in Serie A hanno la possibilità di giocare davvero"

Come vede il futuro del nostro basket? "Sono figlio di un basket con 8 italiani in campo, ci divertivamo noi, la gente, i palazzetti erano pieni, non riesco a capire perché non si possa tornare indietro al di là della Legge Bosman. Mi rendo conto che non sia facile, ma la direzione attuale non è che in questi anni ci abbia portato chissà quali risultati. Ora dobbiamo decidere se provare ad avere una visione a lungo termine o pensare solo al prossimo ottobre. Se vogliamo migliorare il basket forse per un paio di anni saremo anche costretti a soffrire, ed è logico visto che veniamo da 15 anni di abuso di stranieri lasciando stare il lavoro sulle giovanili. Ma se non ci proviamo, tra 5 anni saremo ancora a questo punto".

Vede una soluzione? "Mi piace il modello spagnolo, l'anno prossimo vorrei costruire una squadra con tanti italiani e prettamente europea. In Spagna ci solo due americani, 6 europei oltre ai giocatori locali. Ti dà la possibilità di avere basket competitivo, ma anche programmazione e senso di responsabilità nei confronti del settore giovanile. E' una responsabilità che dobbiamo vivere tutti insieme".

Dei suoi mitici tempi a Varese cosa ha portato nella sua esperienza di allenatore? "Ho preso il fatto di voler emulare uno straordinario coach come Recalcati. Si rendeva conto che a vincere erano i giocatori, non aveva mai la presunzione di ergersi a protagonista. Aveva grande abilità nella condizione di un gruppo, lontano dal voler imporre il pugno di ferro. Andava dai vari giocatori e cercare di aumentare il livello della collaborazione tra tutti, molto bravo a far si che sportivamente ci sopportassimo"

Si sente di aver preso anche da altri allenatori? "Devo dire che la pallacanestro offensiva che giocavamo con Dodo Rusconi a Varese mi piaceva molto, aveva un'incredibile capacità di spiegarti le cose con semplicità ed efficacia. In difesa invece mi piace molto in concetto di transizione di Repesa. Poi ovviamente anche Sacchetti mi ha influenzato molto e ultimamente mi confronto spesso con Pillastrini".

Cosa ci dice di quando ha sfiorato la NBA da giocatore? "Ai tempi avrei firmato il minimo salariale e sarei stato orgoglioso di farlo. Oggi se ricevessi la telefonata dei Grizzlies (dice raccontando di aver visto Houston-Memphis in tv, ndr) vorrei davvero andare a vedere quanto guadagna la loro guardia titolare, che sarà almeno 10 milioni di dollari, e chiederei il triplo davvero".

Se potesse scegliere dal passato quale sarebbe il suo quintetto dei sogni? "Per l'occasione non mi inserisco, ci metto Richardson, Basile, Andrea Meneghin, Smodi  e anche Dino Meneghin, ci feci un'amichevole quando giocavo in A2 a Udine, me lo ricordo un colosso inamovibile, anche dopo i 40 anni".

E di quel campione incredibile di Michael Ray Richardson cosa ci può raccontare? Erano i tempi in cui dalla NBA arrivavano campioni veri... «Io non dico che gli americani non debbano giocare, ma ha senso che siano forti per davvero, piuttosto che 6 scarsi. Chi non ha avuto la fortuna di vedere quella generazione dal vivo non la vedrà chissà per quanto perché in Italia ora non ci sono. Cosa ho preso da lui? La follia. Era competitivo per davvero, al mattino non si allenava mai, ma veniva a prenderci in giro per entrare già nella competizione che avrebbe creato al pomeriggio, quando entrava in trance agonistica era incontenibile. Mi ricordo un 21-0 fatto da solo con Venezia, eravamo a -10 all'intervallo, lui ci ha portato da solo a +11. A 39 anni".