ENRICO CAMANZI
Milan

Morto Karl Heinz Schnellinger, chi era l’angelo biondo rossonero che fece (quasi) piangere l’Italia

Colonna del Milan fra gli anni ‘60 e ‘70 (dopo un passaggio a Mantova), con il Diavolo ha vinto praticamente tutto. Segnò la rete del momentaneo pareggio nella sfida mondiale fra gli azzurri e la Germania

Karl Heinz Schnellinger con Gianni Rivera; a destra, in uno scatto recente

Karl Heinz Schnellinger con Gianni Rivera; a destra, in uno scatto recente

Milano, 21 maggio 2024 – Volkswagen, Panzer, der Italiener, Carlo Martello. Solido e affidabile come un’auto tedesca. Mai cattivo, robusto quando serviva. Senza mai perdere l’aplomb. Il Milan e il calcio italiano dicono addio a Karl Heinz Schnellinger, difensore tedesco con quella faccia un po’ così, da turista della Ruhr in vacanza a Rimini con sandali e braghe corte. È stato uno degli stranieri più amati prima della chiusura delle frontiere, botta di autarchia anni ‘70 con la quale il calcio tricolore cercò di preservare vivai e italianità.

Un amore evidentemente ricambiato: Panzer, a fine carriera, decise di stabilirsi in Italia, in quella Milano con il coeur in man che l’aveva accolto e osannato. E qui è morto ieri sera, lunedì 20 maggio, all’età di 85 anni. Lo piangono i milanisti e tutti gli appassionati del calcio con i capelli bianchi, così come i compagni dell’epopea del Paròn Rocco rimasti in vita. Con loro, fino a che l’età gliel’ha consentito, ha partecipato a rimpatriate e momenti di amarcord di quella squadra, fra le migliori mai viste con la maglia rossonera.

La carriera

Karl-Heinz arriva in Italia nel 1963. Lo pesca in prestito il Mantova allenato da Luigi “Cina” Bonizzoni, ex giocatore delle giovanili del Milan, grazie ai buoni uffici della Roma. Con il Colonia, l’anno prima, ha vinto il campionato in Germania. Karl-Heinz, da buon tedesco, si adatta subito a ritmi e schemi del calcio italiano. Si fa notare proprio nel match contro il Milan. I virgiliani perdono 1-4, ma Schnellinger è il migliore dei suoi. “Un uomo deciso ma leale” lo elogia la Gazzetta dello Sport, in merito al suo duello con il brasiliano Amarildo che, scrive la rosea, “è stato cancellato dal biondo germanico”.

Dopo un anno della Capitale, Volkswagen – copyright (forse) di Nereo Rocco, che però preferiva chiamarlo Carletto – fa rotta nuovamente verso nord, vestendosi di rossonero. Il suo nome resterà indissolubilmente legato al club con il diavolo nel simbolo. Con il Milan vince praticamente tutto. Uno scudetto, una Coppa dei Campioni, una Coppa Intercontinentale, due Coppe delle Coppe, tre Coppe Italia. Titolare pressoché fisso in una squadra che schiera big assoluti, a partire dal Golden Boy Gianni Rivera. 

Karl Heinz Schnellinger in azione durante un derby
Karl Heinz Schnellinger in azione durante un derby

Il ruolino di marcia del tedescone in rossonero parla di 222 presenze in campionato (334 totali, includendo le coppe) e 0 gol (ma ne farà 3 in Coppa Italia). C’è, però, una rete di Karl-Heinz che resta impressa nella mente e nei ricordi degli italiani. È quella siglata con la maglia della Germania Ovest, a pareggiare la stoccata di Roberto Boninsegna nella semifinale del Mondiale messicano del 1970, la “partita del secolo”.

Lo schietto Schnellinger dirà, in seguito, di aver segnato quasi per caso, mentre si dirigeva estenuato verso gli spogliatoi, dove avrebbe voluto riparare dopo il fischio finale. Lo attendevano, invece, lui come tutti gli altri giocatori in campo, i trenta minuti supplementari destinati a diventare i più famosi di sempre.

Il profilo

Come giocatore, Volkswagen è difensore essenziale, senza fronzoli. Preciso nel tackle eppure mai rude sull’uomo (“In carriera ho rimediato solo due espulsioni. Una meritata, l’altra no”), non va per il sottile quando c’è da spazzare o buttare la palla in tribuna. Le sue scivolate diventano un marchio di fabbrica. Non disdegna qualche incursione oltre la metà campo. Quelle sortite mettono ansia al Paròn Rocco. Il quale, quando vede Carletto proiettarsi in avanti, non si contiene. “Te lego, tedesco, te lego”, urla sulla linea dell’out, pretendendo l’immediato rientro in difesa. Il panzer un po’ lo ascolta, un po’ no.

Nel tempo arretra il raggio d’azione, chiudendo la carriera come libero. Il rossonero gli si tatua sulla pelle e gli entra nel cuore. Il suo milanismo è consolidato dalle gioie e temprato dalle – poche – delusioni, prima fra tutte la Fatal Verona del 1973, il match del Bentegodi che toglie al Milan uno scudetto praticamente già vinto. Quella domenica Schnellinger, infortunato, non scese in campo. Chissà, con lui nell’undici di partenza, la partita maledetta, divenuta sinonimo di Caporetto sportiva, avrebbe potuto forse avere una conclusione diversa.

Oltre il rettangolo verde

A fine carriera decide di rimanere a Milano. Continua a seguire le sorti del Diavolo, anche se allo stadio ci va poco. “Mia moglie Ursula va sempre a San Siro, io non ce la faccio, soffro troppo”. Dirà, con un certo rimpianto, di non aver ricevuto più una tessera omaggio dopo l’addio di Berlusconi. Partecipa alle rimpatriate dei reduci di Rocco, ormai più italiano degli italiani (accento a parte).

Quando gli chiedono se si sente più italiano o tedesco, dice di sentirsi “un libero angelo rossonero”, anche perché il Düren, la squadra della sua città con la quale ha esordito, ha gli stessi colori del Milan. E allora addio Carletto, vola lassù a difendere le porte del Paradiso.

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