MATTIA TODISCO
Inter

Inter, Spalletti al contrario: da idolo a imputato

L’era Marotta si apre oggi con l’umore al minimo. L’allenatore nel mirino dei tifosi: ecco i motivi

Luciano Spalletti

Milano, 13 dicembre 2018 - Il primo crocevia della stagione è finito male, per l’Inter. Era «la partita più importante da quando sono a Milano», per stessa ammissione di Luciano Spalletti. Un confronto e una possibilità guadagnati grazie a un buonissimo avvio in Champions League, con 7 punti in quattro partite e la possibilità di giocarsi la qualificazione agli ottavi in due diverse sfide, a Londra con il Tottenham e al Meazza con il Psv. Al tirar delle somme, i nerazzurri sono crollati. Non solo in Europa, ma anche in Italia, se è vero che delle ultime sette se n’è vinta una (con il malleabile Frosinone), pareggiandone tre e perdendo le restanti. Il calendario era tosto, ma qualcosa non ha funzionato, anche nelle decisioni di Spalletti.

SE I RISULTATI non arrivano, quel che va analizzato sono in primis le scelte. Chiaro: non si può essere fenomeni quando si dà fiducia a Joao Mario in campionato pescando un jolly e dal lato opposto non si è matti se rilanciare Antonio Candreva non paga a dovere. Qualche dubbio poteva venire, perché l’ex biancoceleste non da ora è in fase involutiva. Paga la maglia, ha esaurito quella spinta propulsiva che alla Lazio ne aveva fatto un quasi-intoccabile e in quella posizione di mezzo tra interno e trequartista non giocava da tempo. Oltretutto, in tempi non sospetti, il giocatore ha espresso pubblicamente il suo malumore per lo scarso minutaggio. Scelte, come quella di puntare ancora su Ivan Perisic. Spalletti guarda i numeri e ne snocciola sovente l’utilità tra recuperi e contrasti, sminuendone le mancanze in termini di gol e assist. Fatto sta che il croato, vicecampione del mondo, è diventato suo malgrado uno dei simboli negativi del primo scorcio di stagione.

PIÙ FACILE sarebbe tenere a bada la truppa degli scontenti, sempre molto folta nelle rose più numerose, se le decisioni dessero riscontri. È quando si perde che filtrano i «cagòn», come quello di papà Martinez su Twitter o le dichiarazioni in stile «vorrei giocare di più ma rispetto le scelte dell’allenatore» (l’innocuo Miranda, di cui si parla per un possibile ritorno in Brasile a fine anno proprio in virtù della discesa nelle gerarchie difensive). Ancora i Gagliardini, infelice per ammissione dello stesso Spalletti per il mancato utilizzo in una gara post-Champions, in una logica di alternanza che pure il tecnico ha spesso seguito. Non basta, a chi pensa di meritare qualche minuto in più, la briciola della titolarità contro Cagliari, Genoa o Frosinone, se poi in altre gare cruciali giocano altri e magari non rispondono a dovere (non che le seconde linee lo abbiano fatto sempre).

LA GESTIONE dei momenti chiave non è stata finora un punto a favore di Spalletti. È vero, LazioInter era la sfida più importante degli ultimi sei anni e vincerla ha significato tornare in Champions, ma più la forza della disperazione che non una reale prestazione da grande hanno portato a quel punteggio. Negli altri crocevia, anche lo scorso anno, i nerazzurri sono mancati: Juve, poi Sassuolo, il derby di Coppa Italia a dicembre. Manca un pizzico di personalità. E il tecnico toscano non è ancora riuscito a trasmetterla. Potrà chiedere aiuto a Beppe Marotta: da oggi sarà il nuovo direttore generale dell’Inter.