Omar Pedrini: "Io, un angelo (sempre) ribelle"/ FOTO

L'artista bresciano e la sua autobiografia, un concept album... scritto

Omar Pedrini nella redazione de Il Giorno

Omar Pedrini nella redazione de Il Giorno

Milano, 13 dicembre 2018 - «Milano che corre su al cielo / Milano è ghiaccio bollente / Milano sei tutto o sei niente... / Milano col trucco perfetto è il sogno di un grande architetto...”. Testo e musica di Omar Pedrini, sentimenti di una città che gli ha dato tanto e s’è presa tanto, ma da cui il musicista bresciano dice di sentirsi capito, come dice in “Angelo ribelle” la nuovissima autobiografia presentata ieri in redazione al Giorno. “Di fatto un concept album di 19 brani scritti invece che cantati”, spiega Pedrini (annotando accanto al titolo di ogni capitolo pure la durata). “Un memoir in cui raccolgo pensieri, incontri, ricordi, col pensiero soprattutto ai più giovani. Tant’è che, col pensiero ai situazionisti degli anni Sessanta, avrei voluto sottotitolarlo Manuale del saper vivere ad uso delle nuove generazioni”. Intanto, in occasione del venticinquennale, è arrivata sul mercato pure la ristampa di “Viaggio senza vento” dei Timoria, impreziosita da “Angel”, pezzo scritto sull’onda emotiva della scomparsa di Kurt Cobain e poi rimasto nel cassetto.

A proposito di biografie, nel 2017 era già uscita “Cane sciolto”, data alle stampe assieme a Federico Scarioni.

«Da tempo mi chiedevano la biografia, ma tre interventi al cuore mi spingevano ad allontanare l’idea per scaramanzia. Poi lo scorso anno ho compiuto cinquant’anni e m’è sembrato il momento giusto per cominciare a tirare le somme. In “Cane sciolto”, ho raccontato successi e insuccessi della mia vita, le cadute e le risalite affidando la scrittura a Scarioni, mentre questo è una sorta di diario intimo, scritto tutto in prima persona».

Quali erano le mancanze di quel volume - da cui ha tratto pure un fortunato spettacolo teatrale - che ha sentito il bisogno colmare con “Angelo ribelle”?

«Volevo raccontare bene la mia storia familiare. Ma pure il mio ultimo Festival di Sanremo; bello perché, grazie a “Lavoro inutile”, presi il premio per il miglior testo, ma drammatico perché 55 giorni dopo mi ritrovai in ospedale, operato d’urgenza al cuore; salvo, ma la prospettiva di non poter più cantare. Sono seguiti anni, duri di risalita, in cui per sbarcare il lunario mi sono riciclato come autore, conduttore di programmi tv, ma ho anche avuto l’opportunità d’iniziare ad insegnare ad un master in comunicazione in Cattolica qui a Milano».

Il cuore ha continuato, però, a fare le bizze.

«Cinque anni fa mi è nata mia figlia ed è stata una gioia, ma ho anche affrontato un’operazione con il 25% di mortalità. La paura di non farcela di lasciare sola una ragazza di 25 anni appena diventata madre era pesante. Grazie al cielo al Sant’Orsola di Bologna, oltre a riaprire gli occhi, ho trovato un geniale cardiochirurgo che saputo salvarmi la voce e permettermi, piano piano, di tornare a cantare. Ma ci sono volute 15 ore d’intervento e tre staff, tra cui quello di mio suocero».

Suo suocero?

«È stato un “matrimonio d’interesse”, lo ammetto. Ho sposato la figlia di uno dei miei cardiochirurghi; che credo, però, non mi avrebbe salvato la vita se avesse immaginato le conseguenze del suo gesto».

A chi consiglierebbe “Angelo ribelle”?

«A ragazzi come il mio primogenito, con cui non parlo mai, perché ha vent’anni ed è quindi nell’età in cui si uccide il padre, come dicono in psicanalisi. Io mi lascio uccidere volentieri, se serve, però mi piacerebbe dare a lui e a tanti suoi coetanei qualche dritta sull’arte, sulla musica, sul rock, sulla droga, sul valore della cultura, sulla vita. L’intento è quello di spronare i ragazzi a vincere la solitudine del parlare in tempo reale con l’amico a Shanghai, ma non saper condividere un buon bicchiere di vino con quello che hanno seduto accanto».

 

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