Martina Romano: "Io, sorda, sul palco di Sanremo. Svelo la musica a chi non può sentire"

La 28enne traduce con la Lingua dei segni le canzoni di Sethu e del duo Colapesce-Dimartino

Martina Romano a Sanremo

Martina Romano a Sanremo

Milano, 9 febbraio 2023 - Porta nel cuore “8 Marzo” di Tecla. Perché parla della forza delle donne, perché la sente un po’ sua. E ieri ha affrontato “Cause perse” di Sethu e “Splash” di Colapesce e Dimartino. Martina Romano, 28 anni, laureata in Marketing all’università Iulm, fa ascoltare con gli occhi il Festival di Sanremo anche a chi è sordo e non solo: attraverso i segni, le espressioni del viso e il corpo entra nelle canzoni, come ha imparato a fare sin da piccola per non rinunciare alla musica. Aveva due anni quando all’asilo le maestre cominciarono a capire: "Martina non si gira quando la chiamiamo", dissero alla mamma e al papà. Che fecero un esperimento con il suo film preferito, “Il re leone”: mentre la piccola era rapita dalle immagini abbassarono di colpo il volume. E Martina non si accorse di nulla. La sua lingua madre è la lingua dei segni, che ha portato dallo Zecchino d’Oro al Festival della canzone italiana (insieme ai 14 Lis performer è su Raiplay, anche in diretta streaming, e sul canale RaiPLay).

Chi le ha trasmesso l’amore per la musica? "Mia mamma. Nei tragitti in auto mi traduceva le parole delle canzoni in lingua dei segni e mi faceva mettere le mani sulle casse della macchina per sentire le vibrazioni. Poi sono entrata nel meraviglioso mondo della musica interpretando le canzoni in Lis dello Zecchino d’Oro, affiancando il coro dell’Antoniano di Bologna. Un modo per promuovere il progetto Bilingue - Italiano/Lingua Italiana dei Segni - della scuola di Cossato, in provincia di Biella, che prevede l’integrazione tra i bambini sordi e udenti".

Da piccola vedeva Sanremo in tivù? Come si è avvicinata? "Non ricordo di averlo seguito con passione, forse giusto qualche puntata. Non era accessibile, i sottotitoli sono arrivati solo negli ultimi anni. Fu Ilaria Galbusera, capitana della Nazionale volley sorde, a condividermi l’annuncio della Rai del casting per Sanremo Lis. A gennaio 2020 mi videochiamarono per dirmi che ero stata selezionata, da allora non ho mai perso una edizione. Nemmeno l’anno scorso: non ero presente tra i traduttori, ma l’ho seguito da casa".

E ora torna all’opera. "Sono molto emozionata. Ho anche paura di dimenticarmi i segni o di perdere il ritmo, in diretta tutto può succedere. Dobbiamo essere pronti a ricevere tutti i segnali visivi. Preparare la traduzione di una canzone consiste nel cercare di comprendere il significato e il messaggio che il testo vuole trasmettere, attraverso le metafore, la retorica e i secondi significati. Ci si esprime con il corpo, le mani e le espressioni. Si resta fedeli al testo e si ascoltano le canzoni memorizzando il ritmo attraverso le vibrazioni, per poi trasmettere il ritmo visivamente. Il segreto sta nell’entrare il più possibile nella parte e unire il tutto".

Quale canzone le è piaciuto interpretare di più, finora? "8 Marzo di Tecla: rispecchia il mio genere e stile. Racconta delle donne. Non basta ricordarle in una festa, con un fiore, se qualcuno le calpesta. Il brano è intenso ed è stato un onore tradurlo perché parla della forza femminile e incoraggia le giovani donne: nessuno può decidere cosa dobbiamo fare, dire o essere. Dimostriamo a noi stesse cosa siamo in grado di fare".

Quest’anno racconta “Cause perse” di Sethu, in lizza tra i giovani. Com’è il testo? "Davvero complesso, ripete spesso il ritornello ma cambia il ritmo, e mi sembra canti in corsivo. Mi ha messo molto alla prova: vedrete una Martina diversa. La musica trasmette rabbia. Tristezza ed euforia si mischiano. “Senti la pressione di dovere dimostrare qualcosa, di dovere soddisfare certe aspettative. Non capisci gli anni che hai, che sono momenti che non torneranno più”: dice Sethu. Ed è vero, a 28 anni a volte hai paura di non essere abbastanza, o di non goderti abbastanza la vita".

E per Colapesce e Dimartino ha fatto “Splash” ... "Mi piace molto il testo, è ricco di metafore. Ci ricorda di come ci si affanni a fare troppe cose per evitare alcuni aspetti della vita. Un invito ad abbassare la pressione sulle aspettative del futuro. Possono esserci i fallimenti, sono parte della nostra vita. Chiara (Ferragni, ndr ) lo ha spiegato molto bene nel suo primo monologo: siamo fatti di esperienze".

Di cosa si occupa Martina, fuori dal palco? "Oltre a tradurre canzoni e a progetti artistici, lavoro nel team Mulino Bianco e mi occupo in particolare di Brand Equity & Communication. Mi piace molto: cerco di portare il mio contributo per rendere i brand più inclusivi. È stato il cuore anche della mia tesi di laurea alla Iulm. Il mondo è in continuo cambiamento e questo è il momento giusto per abbracciare la diversità, che significa fare un passo in più: prepararsi ad accogliere e rispondere in modo rapido a ciò che la società ci offre nelle sue mille sfaccettature".

 

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