Ghemon, le mie Rose senza spine: il rapper si confessa tra progetti e sogni /FOTO

Uno dei protagonisti dell'ultimo Sanremo protagonista di un'intervista esclusiva nella redazione de Il Giorno

Giovanni Luca Picariello, classe 1982, in arte Ghemon (Newpress)

Giovanni Luca Picariello, classe 1982, in arte Ghemon (Newpress)

Milano, 8 marzo 2019 - Il nome da rapper l’ha scelto ispirandosi “al silenzioso samurai” Goemon del cartone animato “Lupin III”, ma ieri in redazione al Giorno l’uomo di “Rose viola” s’è raccontato innanzitutto come Giovanni Luca (Picariello), classe 1982, lasciando il sorriso tagliente di Ghemon solo a quel “Rose viola” che gli ha consegnato la 12° piazza a Sanremo, ma un ruolo molto più in evidenza nella programmazione radiofonica. La hit è stata appena ripubblicata nella versione con Diodato e i Calibro 35 offerta al popolo del Festival col titolo “Rose viola 2.0”. «Dalle tante cose fatte dopo il Festival, mi sembra passato molto più di un mese – ammette –. Abbiamo pubblicato un vinile di ‘Rose viola’ che è andato esaurito quasi subito e abbiamo dovuto ristamparlo, cosa anomala in tempi di musica liquida. Credevo che questo pezzo fosse un diesel, si sarebbe fatto conoscere pian piano, invece ha iniziato a marciare spedito subito».

Sorpreso dalla vittoria del suo amico Mahmood?

«All’inizio non pensavo che ‘Soldi’ avrebbe potuto arrivare molto in alto, ma a metà Festival mi sono reso conto che era una delle migliori, capace di tutto».

Si aspettava un Festival d’impronta più tradizionalista?

«No. I cambi di formula ogni tanto vanno fatti perché è anche vero che i cosiddetti ‘giovani’ per diventare dei big debbono passare di là. Baglioni questo negli ultimi due anni l’ha fatto».

All’Ariston c’era già stato lo scorso anno come ospite di Diodato e Roy Paci.

«Sì e m’è servito per prendere l’orientamento: cosa accade dietro le quinte, come si muovono i tecnici, quali sono i tempi. Visto che a Sanremo ho salito un gradino alla volta e prima ho fatto l’ospite, poi il concorrente, il prossimo anno mi spetta almeno la conduzione del Dopofestival…» scherza.

Da laureato in Giurisprudenza, più stressante Sanremo o l’esame di procedura civile?

«Assolutamente procedura civile. Al Festival ci sono andato di mia volontà, a quell’esame invece mi ci hanno dovuto trascinare».

Quando, nel 2007, è uscito il suo primo album “La rivincita dei buoni” avrebbe mai immaginato che un giorno sarebbe arrivato al Festival?

«Pensavo che la mia strada non avrebbe mai lambito Sanremo, anche se, da appassionato, sognavo che un giorno il rap potesse diventare linguaggio comune. Il tempo ha giocato a mio favore».

L’ultimo album “Mezzanotte” è di due anni fa. Quando arriverà il nuovo?

«Sono un precisino e non intendo forzare i tempi perché i dischi sono fotografie e voglio che la mia sia più nitida e più veritiera possibile. Diciamo, però, che dopo l’estate dovremmo farcela».

Ci sarà Giorgia?

«Dopo la mia esibizione ha scritto su Instagram ‘E chissà se quelle rose viola…’. Vedremo se riuscirò ad averla nel disco...».

Perché ha scelto di sottotitolare l’autobiografia “Io sono” “Diario anticonformista di tutte le volte che ho cambiato pelle”?

«Tutto è nato dopo un incontro pubblico sulla scrittura di se stessi in cui intervenivo assieme ad una scrittrice. Qualcuno mi ha proposto la cosa e io, ritenendomi giovane per dare alle stampe una biografia convenzionale, ho preferito il diario, che ho puntato sulle tante pelli cambiate finora».

Con chi le piacerebbe cantare?

«Guardando al passato, con Lucio Battisti e Pino Daniele, ma non è possibile. Il presente mi suggerisce solo donne: Giorgia, Elisa, la mia amica Levante e una ragazza di verdi speranze chiamata Mina».

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