Rider, trentamila fantasmi in strada. "Aggirate le norme sull’assunzione"

Dopo l’inchiesta milanese nuovo stop. Il presidente Inps: da noi nessuna nuova registrazione dal 2021

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Milano, 30 marzo 2021 - Sfrecciano sulle strade delle città, con le loro biciclette e i contenitori portavivande colorati, ma per l’Inps sono lavoratori  I rider sono spariti dai radar dell’istituto previdenziale, dopo la maxi-multa da 155 milioni di euro tra sanzioni e contributi evasi a carico dei colossi del delivery, frutto a febbraio dell’anno scorso di un’indagine della Procura di Milano, dei carabinieri e dell’Ispettorato del lavoro su irregolarità fiscali e contributive sulle posizioni di migliaia di ciclofattorini in Italia. Da ottobre 2021 "non risultano più lavoratori dichiarati nei nostri archivi né come subordinati, né come collaboratori né come etero organizzati", ha spiegato ieri il presidente dell’Inps, Pasquale Tridico, durante un’audizione alla commissione Lavoro del Senato sul lavoro su piattaforma.

"Le aziende infatti li dichiarano come prestazioni occasionali, fino a 4.999 euro – ha proseguito – salvo poi interrompere il rapporto di lavoro per non sfondare il tetto dei 5mila euro previsto dalla legge". Escamotage per aggirare le norme e tagliare il costo del lavoro, in un settore che conta numeri altissimi di persone sfruttate da app e algoritmi. Ai 20mila rider al centro dell’indagine milanese del 2021, infatti, se ne sono aggiunti altri 10mila nell’ambito dei processi di accertamento su altre piattaforme. Un boom durante la pandemia seguito però da una nuova giungla dei diritti. "Alcune aziende avevano dichiarato di voler assumere come subordinati i propri rider ma ad oggi questo non trova riscontro nei nostri archivi – ha riferito il presidente Inps –. Occorre una indicazione legislativa chiara, quella giurisprudenziale e le sentenze suggeriscono la via della subordinazione". Per cercare di monitorare, quanto più possibile, questo segmento del mercato del lavoro, l’Inps ha messo a punto un prototipo di piattaforma digitale sul proprio sito sulla falsariga di quanto già creato per i lavoratori domestici. "Nessun conflitto con quelle già esistenti ma una piattaforma da gestire con l’Inail per garantire una tracciabilità continua, anche se intermittente considerata la specificità del lavoro rider, per fini protettivi e sociali, assicurativi e previdenziali", ha sottolineato Tridico. Senza contare la trasparenza che il meccanismo garantirebbe relativamente alle assunzioni e ai licenziamenti. Ma i rider sono solo la punta dell’iceberg di un mondo variegato, finito al centro della proposta di direttiva europea per fissare regole comuni. Sotto, nascosto, c’è un esercito di altri lavoratori delle piattaforme che non si vedono. Addetti alle pulizie nelle case private, autisti, traduttori, shopper e “operai“ di web e social. Tre su dieci, secondo quanto è emerso da una ricerca Inapp Plus-Fondazione Di Vittorio, lavorano senza neanche un contratto scritto che regoli il rapporto con la piattaforma, tornando così all’età della pietra dei diritti. Quelli regolati dalle piattaforme digitali non sono più “lavoretti“ per studenti o per persone attirate dalla libertà di gestire il proprio tempo, ma scelte obbligate e fonti di reddito indispensabili per mantenere famiglie.

A livello nazionale sono 570.521 i lavoratori delle piattaforme, almeno 100mila solo a Milano, capitale italiana della gig economy. Per otto lavoratori su dieci quella veicolata dalle piattaforme è una fonte di guadagno "importante ed essenziale", e per il 48,1% è l’attività principale svolta perché non ci sono alternative in un mercato del lavoro asfittico. Sette su dieci hanno tra 30 e 49 anni, quindi non sono ragazzi alle prime esperienze o appena usciti dalle scuole. Chi ha un contratto a tempo indeterminato è solo una piccola parte, mentre nella maggior parte dei casi il lavoro è pagato a cottimo, con il “licenziamento“ che può scattare con un clic e il controllo pressante dell’algoritmo. Per il 59,2% degli operai delle piattaforme il lavoro è valutato sulla base del numero di incarichi effettuati e per il 42,1% sul giudizio dei clienti. Un feedback negativo del cliente può portare nel 65,7% dei casi a una riduzione o al peggioramento degli incarichi, al mancato pagamento (4,3%) o all’esclusione dalla piattaforma (2,8%), di fatto un licenziamento.

 

 

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