
Precariato, economia stagnante, inflazione, stipendi fermi: lavoratori sempre più in difficoltà
Milano – Le conseguenze più pesanti dell’inflazione e dell’aumento dei prezzi si sono scaricate, a Milano, sulle spalle degli operai che lavorano nel settore dei servizi. Da gennaio 2020 allo scorso aprile il loro salario reale è calato addirittura dell’11,62%. Per un impiegato o un quadro dello stesso settore il calo è stato invece dell’11,21%. Nell’industria, invece, la media fra operai e impiegati è un -10,36%.
Significa, in sostanza, che chi percepiva mille euro al mese prima della pandemia adesso, considerando l’impennata dei prezzi, subisce un’erosione dello stipendio superiore a 100 euro, vedendo crollare quindi il suo potere d’acquisto.
Calo a doppia cifra
Considerando tutto il sistema economico, il salario reale di un operaio milanese è calato del 10,78%, mentre quello di un quadro o di un impiegato è sceso del 10,40%. Il calo sul totale dei dipendenti, al netto dei dirigenti, è del 10,55%.
La media lombarda si attesa invece sul -9,90%, a dimostrazione dell’incidenza maggiore del carovita nella Città metropolitana di Milano rispetto ad altri territori lombardi. Conseguenze evidenti di due effetti combinati che hanno creato una “tempesta perfetta“. Gli stipendi dal 2020 sono rimasti stagnanti, mentre l’indice dei prezzi (Nic) ha registrato una variazione del 15,95% a Milano e del 15,18% in Lombardia.
L’approfondimento sull’inflazione
Una fotografia che emerge dai dati analizzati da Matteo Gaddi, ricercatore della Fondazione Sabattini e coautore (con Giacomo Cucignatto, Lorenzo Esposito, Demostenes Floros, Nadia Garbellini, Roberto Lampa, Gianmarco Oro, Stan De Spiegelaere, con introduzione di Joseph Halevi) del libro collettivo “L’inflazione. Falsi miti e conflitto distributivo”, utilizzato anche per i corsi di formazione della Fiom Cgil.
Una lettura di un fenomeno che si traduce in stipendi insufficienti per arrivare alla fine del mese, per riempire il carrello della spesa, per pagare le bollette e sostenere i costi della casa. E i primi a pagarne le conseguenze sono i lavoratori inquadrati con contratti precari e con bassi salari. Le imprese, invece, continuano a macinare profitti, anche grazie all’aumento dei prezzi che è proseguito nonostante la frenata dei costi dell’energia e delle materie prime.
"L’ultimo quinquennio, nonostante includa anche il crollo della produzione dovuto al lockdown del 2020, mostra un forte recupero della redditività delle aziende, con il risultato operativo che aumenta del 35% a fronte di un aumento del valore della produzione di meno del 14%", analizzano Matteo Gaddi e Nadia Garbellini, che hanno messo sotto la lente gli ultimi bilanci disponibili delle maggiori imprese.
La forchetta
“Si consideri che nel medesimo quinquennio il Pil è cresciuto di appena il 2,6% – proseguono – quindi, a un’economia sostanzialmente stagnante, si contrappone un aumento degli utili aziendali del 77,5%. Nello stesso periodo, i redditi da lavoro dipendente aumentano solo del 7%, segno di una forte redistribuzione a favore delle imprese. Il costo del lavoro scende, mentre i profitti salgono". In sostanza, quindi, "le politiche economiche impostate nel periodo precedente nei principali Paesi avanzati hanno permesso un forte aumento della profittabilità delle imprese", scaricando le conseguenze della crisi sui lavoratori dipendenti. E così, per effetto di un sistema improntato a una ‘profonda iniquità’, crescono le disuguaglianze, con effetti ancora più evidenti in una città come Milano.