DIEGO VINCENTI
Cultura e Spettacoli

“Vi racconto il dramma di accettarsi”

Saverio La Ruina in scena al Piccolo Studio

Masculu e Fiammina

Milano, 13 dicembre 2016 - Ogni giorno al cimitero. La solita tomba, quella di mamma. Due chiacchiere, neanche si fosse al bar. In attesa di trovare il momento buono per dirsi le cose importanti. E dirsele tutte. Struggente al solo sentirlo raccontare “Masculu e Fìammina” di e con Saverio La Ruina, produzione Scena Verticale, stasera in prima nazionale al Piccolo Studio (fino a domenica, biglietti 33/26 euro). Un monologo. Sporcato di dialetto. Per chi ormai da anni ha scelto di vivere e lavorare a Castrovillari, profondo sud. Mica facile. Eppure il fascino del Festival Primavera dei Teatri e quella bacheca strapiena di premi e premietti, raccontano che è stata la scelta giusta. Tanto che se ne è accorto il Piccolo, per la prima volta pronto ad ospitare l’attore calabrese.

La Ruina, debutto assoluto anche per lei al Piccolo: emozionato?

«Per quanto uno faccia teatro indipendente, il Piccolo rimane un punto di riferimento. Lo Studio poi è uno spazio bello e difficile, con la sua pianta circolare. Sto capendo come agire nel modo migliore, non posso certo starmene da solo lì al centro del palco, si creerebbe troppa distanza col pubblico».

Come nasce il lavoro?

«Da una lettura al Festival Garofano Verde di Rodolfo di Giammarco. Da quell’invito è scattata la volontà di approfondire la tematica gay. Ho tantissimi amici che mi sembra abbiano vissuto dinamiche simili a quelle del protagonista, altrettanto amare».

C’è un grande rimpianto nel suo personaggio.

«Quello di non aver mai trovato il coraggio di rivelare a sua madre il suo vero io, la propria natura. È un uomo fra i 55 e i 60 anni che ogni pomeriggio va su questa tomba raccontando quello che non le ha mai detto in vita. Peraltro credo sia una delle rarissime volte in cui il protagonista è un gay di una certa età, uomo semplice, di provincia, immerso nella solitudine».

La tematica purtroppo non smette di essere attuale.

«Stanno cambiando un po’ le cose, ma credo che l’accettazione di sé e il dichiararlo in famiglia siano ancora momenti complicati. Anche perché la società pare su un altro pianeta. L’altro giorno leggevo un’intervista a Gianni Rivera che dichiarava come ai suoi tempi nel mondo del calcio non c’erano gay. Ma come si fa a dire una cosa simile? Al limite si nascondevano ancora di più. Tante notizie che si sentono tutti i giorni fanno riflettere».

Per farlo ritorna al dialetto dopo l’esperienza con “Polvere”, lo spettacolo precedente.

«Sì, il dialetto rimane la lingua del cuore, della casa, del proprio intimo. Anche se qui è meno stretto rispetto al passato. È una lingua spuria, di una persona che conosce l’italiano e ha frequentato la scuola per alcuni anni».

Come prosegue il lavoro a Castrovillari?

«Il Sud ti nutre, entra prepotentemente in quello che fai, ti ispira. Il nostro rapporto con la città è ottimo, peccato per l’aiuto solo parziale da parte del Comune che ogni tanto mi sembra che proprio non si renda conto. Il nostro finanziatore principale rimane tuttavia la Regione, ma anche lì i rapporti non sono sempre facili e a volte bisogna scendere a compromessi. Meglio pensare al debutto…».