Il mistero dei tatuaggi: al Mudec storie mediterranee di aghi e stampini

Fino al 28 luglio il plurimillenario racconto del fenomeno. La scoperta di Loreto, unico santuario dove si facevano fino a metà ’900

Mostra sui tatuaggi al Mudec

Mostra sui tatuaggi al Mudec

Milano - Irrazionale e personale, un mistero, perché gli esseri umani abbiano incominciato a tatuarsi: atto primario di fare arte? Poco chiara anche l’attuale popolarità del fenomeno: solo una moda frenetica di trasformare definitivamente il proprio corpo ed esibirlo pubblicamente? Specie in Italia, dove il 48% della popolazione adulta tatuata ci colloca al primo nel mondo. Cultura o controcultura? Tenta di dare una risposta la mostra al Mudec, da oggi al 28 luglio: ‘TATUAGGIO Storie dal Mediterraneo’.

Per la verità, nel plurimillenario racconto del fenomeno, non mancano riferimenti extra-europei: aghi, stampini, martelletti, vaschette per pigmenti, ritratti che rimandano al Borneo o alla Birmania, oltre all’ampia scheda, per esempio, che illustra le vicende settecentesche del cosiddetto "principe" Jeoly (Giolo), corpo completamente tatuato, comprato al mercato degli schiavi di Mindanao (Filippine) dal pirata esploratore William Dampier, che lo portò a Londra per esibirlo a pagamento, fino alla rapida morte per morbillo del poveretto indonesiano.

Quel che il progetto intende valorizzare è però la persistenza del "tattoo" (dal tahitiano "tatau") in Europa e nel bacino del Mare Nostrum. Dalle evidenze preistoriche: ritrovato vicino a Bolzano il corpo del neolitico Ötzi (cacciatore vissuto 5.300 anni fa), con 61 tatuaggi sulla pelle, fino all’attualità geopolitica: i tatuaggi delle berbere algerine, delle donne copte e delle rifugiate che vivono nei campi profughi di Suruc in Turchia.

A dipanare il significato della pratica - gesto serio o gioco; stigma di punizione e inciviltà o decorazione e devozione; segno di Caino (distintivo degli ultimi nella gerarchia sociale) o dell’imperatrice Sissi - provvede l’espertissima curatrice Luisa Gnecchi Ruscone. Che segnala un’altra nostrana esclusiva: "L’unico santuario dove si facevano tatuaggi, fino agli anni Quaranta del ‘900, è Loreto. Conserva tavolette incise di simboli, risalenti al XV secolo". Ampiamente illustrata. la singolare costumanza, in un’apposita sezione. Mentre nel catalogo, l’intervento di Guido Guerzoni - il curatore che ha anche incoraggiato l’innovativo format immateriale della mostra - affronta il mistero lauretano con la perizia di un investigatore. Sfogliando "Il bel paese" dell’abate lombardo Antonio Stoppani, scandalizzato a Loreto dagli strani ceffi che invitavano la gente a qualcosa che non capiva.

Distinguendo tra "taboo" e "tattoo". Ma lasciando aperta la più vexata quaestio: furono i pellegrini e i crociati a importare l’usanza in terra italica? O fu inventata in riva all’Adriatico ed esportata oltremare da qualche beccamorto loretano? Di certo, a Gerusalemme, opera tuttora la ventisettesima generazione dei tatuatori Razzouk, arrivati in Palestina dall’Egitto a fine Trecento.

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