ANDREA SPINELLI
Cultura e Spettacoli

Miki Del Prete, una vita rock: "Io, il Clan, Claudia e Adriano. Vorrei tanto parlargli ancora"

Alla soglia degli 89 anni in un libro il bilancio su famiglia, musica e sodalizio col Molleggiato "L’incontro al Santa Tecla, affetto e canzoni. Poi misero una pietra sul passato. E su di me"

Miki Del Prete, l'altro ragazzo della via Gluck

Miki Del Prete, l'altro ragazzo della via Gluck

Milano – «Ho vissuto troppo…» scherza Miki Del Prete tirando i fili delle tante storie da juke-box riannodate nelle 220 pagine de “Il mio amico per la pelle”, l’autobiografia in cui ad 88 anni ("ma il 23 luglio ne compio 89…") fa il punto su famiglia, l’attività di autore e il sodalizio con Adriano Celentano da cui sono nate, tra le tante, “Il ragazzo della via Gluck”, “Mondo in Mi7ª”, “La coppia più bella del mondo”, “Una carezza in un pugno”, “Chi non lavora non fa l’amore”, “Soli”. "Papà giocava nel Bari e quando nel ’39 l’acquistò il Como venimmo a stare dalla mia nonna materna Antonietta che viveva in via Galeazzo Alessi, a cento metri dalla Darsena", racconta il paroliere. "Ma la casacca lariana mio padre Mario non l’indossò mai, perché ci pensò la guerra a fermare tutto. E trovò un impiego al mercato ortofrutticolo Santo Stefano. Nel ’46 il Comune di Milano ci assegnò un’abitazione provvisoria in via Larga, di fronte al Lirico, ed è lì che, undicenne, ho avuto il primo approccio col mondo dello spettacolo vendendo in sala caramelle e giornali. Poi, sul finire degli anni Cinquanta, l’incontro con Celentano… e il resto è rock and roll".

Primo pezzo assieme, “Impazzivo per te” del 1960.

"Dopo esserci conosciuti al Santa Tecla, andai a trovarlo a casa sua. Lo trovai con la mamma, seduto su un divano che strimpellava la chitarra. Il suo battere ritmico delle dita sulle corde mi fece venire in mente, ancora sull’uscio, quel ‘Mai, mai, mai più…’ che avrebbe aperto la canzone. Iniziai a canticchiare quel verso e lui: ‘uhè, buona questa, mettiamola giù bene…’. La mettemmo giù bene. Fu il primo testo mia vita, fino a quel momento mai avrei immaginato di poter scrivere canzoni".

Nel ’66 lei propose ad Adriano pure “Nessuno mi può giudicare”, ma lui scelse di portare a Sanremo “Il ragazzo della via Gluck” decidendo così di archiviare i suoi trascorsi da “urlatore” con una ballata folk.

"Un suo ritratto, una fotografia. Così pensai di dare ‘Nessuno mi può giudicare’ alle edizioni Sugar convinto che sarebbe calzato a pennello ad uno come Gene Pitney, che ammiravo. E Pitney effettivamente la cantò, anche se abbinato a Caterina Caselli".

“Passano gli anni, ma 8 son lunghi” dice la canzone riferendosi, nel ’66, ai successi di una carriera iniziata nel ’58.

"Adriano aveva già conosciuto il successo di ’24.000 Baci’ ‘Si è spento il sole’, ‘Pregherò’, ‘Stai lontana da me’ e di quella ‘Nata per me’ che gli avevo scritto nel ’62. Con i primi guadagni aveva comprato alla madre Giuditta una casa in Via Zuretti, la parallela di via Gluck dov’era nato. Pure io ho investito molto negli immobili. Il mio hobby è sempre stato scoprire locali, ristrutturarli e rilanciarli. Ne ho avuti tanti, compreso, negli anni Novanta, il Gimmi’s".

A proposito, due mesi fa ha chiuso il suo Martin Café alle Colonne di San Lorenzo. Dispiaciuto?

"Sì, molto. Avrei voluto acquistare la palazzina in cui si trovava, ma è del Comune che non voleva saperne di venderla se non tramite bando. Ho aspettato dodici anni e poi ho detto basta. Ora è in abbandono. Questo è il modo in cui Milano gestisce i beni pubblici".

Torniamo a Celentano, anzi al Clan. Termine che odorava di Sinatra, di Rat Pack, ma pure di onorata società. Elementi che nella avventurosa vita di Ol’ Blue Eyes a volte si sono pure sommati.

"Già, ma Adriano era un bravo ragazzo e quella parola per lui significava esclusivamente una cosa: amicizia. La nostra infatti è stata, e per quanto mi riguarda rimane, una relazione basata sull’affetto. Anche se negli ultimi tempi non vado molto d’accordo con Claudia, che interviene su tutto. Vorrei parlare col mio amico, ma di mezzo c’è sempre lei".

Lei della Mori è stato pure testimone di nozze.

"Adriano me lo disse la sera prima, ‘Miki, domani andiamo a Grosseto che mi sposo’. Io testimone di Claudia e il nipote Gino Santercole testimone suo. Alla cerimonia, officiata alle tre del mattino nella chiesetta di San Francesco da padre Ugolino, un suo amico sacerdote, c’eravamo noi e qualche parente. Nessun altro".

La coppia più bella del mondo.

"Entrata in crisi alla fine degli anni Settanta, Adriano frequentava la Muti e Claudia se ne rimaneva ad Asiago dove giravano voci su una sua amicizia con un maestro di sci. Un giorno dell’’86, a Milano, chiamò mia moglie Lilli dicendo: vediamoci stasera al ristorante per festeggiare. Una volta a tavola lei ammise di aver fatto delle cose che non doveva fare così come Adriano aveva fatto cose che non doveva fare: ‘Siamo X, siamo pari… dimentichiamo tutto e andiamo avanti’. Io e Lilli lì a fare da testimoni. Solo che Claudia nel momento in cui ha messo una pietra sul passato, l’ha messa pure su di me, allontanandomi dal marito e dal Clan".

Succede.

"Già, i Beatles insegnano. Non portando rancore, però, continuo a considerarla quasi una sorella. Voleva diventare amministratore unico del Clan e io, cretino, per amicizia ho rinunciato al contratto che mi legava ad Adriano come produttore discografico. Ma gli volevo talmente bene e per lui avrei firmato pure di andare in galera. Si fa per dire, naturalmente".

Il prossimo 22 settembre racconta questo suo libro nel pavese, al Teatro Accademia di Fortunago. Se ad un certo punto, all’improvviso, sentisse una mano sulla spalla, come reagirebbe?

"Eh…".