
Lo scrittore Marco Buticchi
Milano, 18 marzo 2018 - Fra i maggiori scrittori d’avventura, Marco Buticchi racconta la sua Milano. «Quando avevo tre anni, con i nonni e mamma lasciai La Spezia e venni ad abitare a Milano, in via Dugnani. Per campare mio nonno, il pittore Frunzo, costruiva e dipingeva le macchine Singer che i taxi esponevano sul tetto per fare pubblicità. Come sembra lontana quella città grigia, nebbiosa e fredda - spiega - ci sono rimasto fino alla quarta elementare e poi ci siamo trasferiti a Roma»
E quando è ritornato?
«Dopo la quinta ginnasio sono venuto a vivere con papà, allora presidente del Milan. Non erano tempi facili per il Paese: terrorismo, lotte tra estremisti di opposte fazioni. Subii tre tentativi di sequestro che, rocambolescamente, andarono a vuoto. Fui “impacchettato” nell’arco di poche ore e spedito all’estero a terminare gli studi Quando oggi sento odore di squadrismo e di violenza, cerco sempre di ricordare ai giovani quale fosse il peso dell’insicurezza dovuto alla violenza politica di quegli anni».
Il luogo che le è più caro?
«Il parco Solari. Ogni volta che capito nelle vicinanze faccio una passeggiata, tutto mi sembra più piccolo: i ricordi di un bambino sono sempre “giganteschi”».
E un luogo che evita?
«Gli ospedali: lì ho visto parte dei miei cari andarsene. Ma, in fondo, si tratta della parte più scura dei ricordi di un’infanzia sorridente e spensierata, come tutte le infanzie dovrebbero essere».
Suo padre è stato presidente del Milan, torna mai a San Siro?
«Ci tornavo con papà. Quando diventò non vedente lo accompagnai spesso per raccontargli le azioni del suo Milan. Diceva che lo stadio gli regalava emozioni impagabili».
Maria Consuelo, sua moglie, è stata una modella. Dove l’ha portata per la prima volta?
«Ricordo che andammo in uno tra i locali più caratteristici della città: la Trattoria Arlati. erano tempi di Derby, di cabaret. Le serate finivano sempre in taverna, dove l’amico Mario Arlati concludeva i dopocena. Ogni sera si traduceva in indimenticabili momenti di grande umorismo e divertimento sano. Credo di aver conosciuto proprio nel corso di una di quelle serate un giovane cabarettista alle prime armi. Si chiamava Giorgio Faletti. La nostra amicizia è durata più di 40 anni. E oggi il suo sorriso mi manca».
Sua figlia Andrea lavora oggi a Milano. Come racconta la città? E lei come gliel’ha raccontata?
«Con l’entusiasmo di una ragazza innamorata del suo lavoro in una città che offre opportunità. Io ne parlo così, come l’ho vissuta: dalla bicicletta rossa alle domeniche allo stadio incantato dalle prodezze di Rivera. Una serie di lampi fugaci, capaci però di disegnare una delle fasi più importanti della vita. Milano è una città che accoglie e non ti lascia andare via facilmente. Ogni angolo della città ti entra nel cuore nel momento stesso in cui ti accorgi di quanto calore sia capace di nascondere».
Se dovesse tornare a vivere qui che quartiere sceglierebbe?
«Passati i 60 diventa sempre più difficile immaginare spostamenti. Si diventa pigri, sedentari, pantofolai. Però, ogni volta che torno qui, rimango a osservare palazzi arditi ed eleganti, spicchi di verde, piazze pulite e gente operosa. Un quartiere vale l’altro, quando hai Milano che ti sorride».