
Interpol
Milano, 23 agosto 2017 - I poliziotti del rock non sono solo quelli di “Roxanne”. O, almeno, questa è l’aspirazione con cui il chitarrista Paul Banks ha dato vita vent’anni fa agli Interpol, sovrapponendo il nomignolo con cui lo chiamavano in famiglia da bambino a quello della più famosa organizzazione internazionale anticrimine. Stasera Banks e il sodale di sempre Daniel Kessler sono in concerto al Carroponte con un anniversario che sarebbe effettivamente «criminale» trascurare, il decennale della pubblicazione di “Our love to admire”, terzo album di un’avventura artistica e umana costruita dalla formazione newyorkese sull’epopea proto-punk dei vari Television o Joy Division. Allora in formazione c’era ancora Carlos Dengler e i fans sanno quanto contasse il suo apporto creativo nelle economie artistiche della band, che rimane tuttavia ancora oggi ancorata allo sfolgorante album di debutto del 2002 “Turn on the bright lights”. Ma “Our love to admire”, il primo con una major discografica e il primo a non essere interamente autoprodotto da loro grazie alla presenza in studio di Rich Costey (Muse, Franz Ferdinand), è l’album che ha marcato di più la voglia di evolvere un linguaggio rimasto con quelli di National ed Editors, tra i più significativi espressi dalla new wave anni Duemila.
Per gli Interpol Milano è un po’ casa. O meglio, lo è per Kessler che ai tempi del fidanzamento con l’attrice Valeria Bilello ha vissuto sette anni in città, dove ha composto pure parte dell’ultimo album “El Pintor”, uscito nel 2014. E nel finale di uno dei brani, “Breaker 1”, c’è pure un discorso in dialetto siciliano registrato nel 1987 al Maxiprocesso di Palermo in cui il mafioso di turno, con una recitazione da applauso, dice di aver abbracciato l’onorata società in quanto «sventurateddu» nella vita. Attualmente Kessler e Banks fanno trio con il batterista Sam Fogarino, mentre il resto del suono della band è affidato a turnisti di rango come Brandon Curtis, tastiere, e Brad Truax, basso. «Credo di avere quattro patrie: l’Inghilterra perché ci sono nato, la Francia, dove ho vissuto fino agli undici anni, l’America e l’Italia che hanno saputo regalarmi alcuni tra i momenti più belli», ammette Daniel. «Suonare in una formazione come gli Interpol è stupendo, ma grazie al cielo nelle nostre vite ci sono pure altre cose. Se vuoi avere le antenne ben sintonizzate devi aprirti alle novità e non puoi rintanarti nel guscio sicuro della band accettando la routine disco-tournée-disco. Anche se a tutti noi piace suonare dal vivo. Non faremmo, altrimenti, tour da 200 concerti come accaduto in questi anni».