
Enrico Rava con il direttore artistico di JazzMi Luciano Linzi
Milano, 24 ottobre 2018 - E' nato sull’impronta del festival jazz di Londra, quindi diffuso in città e nelle sue periferie, ma in tre edizioni JazzMi s’è già dato un’identità precisa. Oltre 200 eventi in un centinaio di luoghi e situazioni diverse tra l’1 e il 13 novembre. A parlarne, ieri in redazione, un colosso del jazz italiano quale Enrico Rava e Luciano Linzi, direttore artistico della rassegna assieme a Titti Santini.
Lei Rava è il grande protagonista delle prime giornate.
«Mi esibirò in Triennale il 2 novembre con il sassofonista Joe Lovano. Come sempre, ci si unisce in gruppo con musicisti vicini alla propria visione della musica. Il gruppo è nuovo, ma con i suoi componenti Dezron Douglas, Gerard Cleaver, Giovanni Guidi avevo già collaborato in passato».
Se il jazz è anche l’arte dell’incontro, quali sono stati quelli decisivi per lei?
«Il primo, il più importante perché mi ha spinto a vivere di questa musica, è stato quello con Gato Barbieri. Un altro determinante quello con Steve Lacy perché ci ha aperto a cose che né io né lui avevamo fatto prima; l’album “The forest and the zoo”, inciso assieme a Buenos Aires nel ’66 con la ritmica sudafricana di Johnny Dyani e Louis Moholo, è considerato ancora oggi uno dei dieci dischi essenziali del free jazz. Pure suonare con Joe Henderson è stato come andare all’università».
Quali sono gli altri grandi eventi in cartellone?
Linzi: «I nomi affermati sono necessari, ma abbiamo dato grande spazio anche a musicisti meno conosciuti e al jazz italiano. Tra l’8 al 10, in Triennale ci sarà una vetrina Italian Jazz Showcase dedicata proprio alle nuove realtà. Fra le rivelazioni straniere, ad esempio, la sorprendente trombettista di origini persiane Yazz Ahmed non s’è mai esibita a Milano. Crediamo che oggi un festival jazz non debba avere barriere di stili né preclusioni verso le contaminazioni per raggiungere anche quel pubblico un po’ meno vicino a certi linguaggi».
Ad aprire il cartellone è l’Art Ensemble of Chicago.
«Emblematico iniziare con loro, perché il loro approccio alla musica teso ad affiancare storia e contemporaneità è sempre stato un riferimento visto il motto “Grande musica nera: antica per il futuro”. Tengo a sottolineare pure la presenza, il 6 novembre, di John Zorn e Bill Laswell che i duo prima d’ora si esibiti solo una volta a New York».
Torniamo a lei, Rava: è un musicista trasversale.
«Quando abitavo a New York andavo all’Apollo Theater ad ascoltare James Brown, Aretha Franklin e vedevo reazioni di pubblico pazzesche che erano le stesse scatenate da Benny Goodman vent’anni prima».
Lei ha pure dedicato un disco a Michael Jackson.
«Ho abitato a New York fino al ’77 e quindi i Jackson Five li conoscevo, mi piacevano ma non m’interessavano, anche se suonavo nei concerti di Sly & the Family Stone. Quando è morto Jackson, rientrando a casa ho trovato mia moglie che stava guardando alla tv uno show di Jackson a Bucharest, sono rimasto folgorato e ho pensato di rileggere la sua musica senza tradirla. Stessa cosa m’era successa pure con i Beatles o con gli Stones dopo averli visti a San Siro, anche se non li ho suonati in un disco».
A cosa sta lavorando ora?
«Entro la fine di novembre dovrei missare un nuovo album registrato con la pianista Makiko Hirabayashi, il contrabbassista Jasper Bodilsen e il batterista Morten Lund che uscirà il prossimo anno per Ecm».