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Cultura e Spettacoli

Edoardo Raspelli, 50 anni di critica gastronomica: “Da bambino ero magrissimo, spendevo i soldi delle paghette nei ristoranti”

Milano, la casa di famiglia all’Ortica, gli inizi da “nerista” e l’incarico che l’ha reso famoso. “Walter Tobagi era mio compagno di scuola. A Carlo Cracco (grande cuoco italiano) qualche anno fa diedi una bastonata”

Edoardo Raspelli, 75 anni, ha iniziato a occuparsi di critica gastronomica nel 1975

Edoardo Raspelli, 75 anni, ha iniziato a occuparsi di critica gastronomica nel 1975

Milano, 7 gennaio 2025 – “Vai al ristorante, mangi, paghiamo noi”. Così, soddisfacendo golosità e curiosità, tra assaggi, voti e giudizi, nel 1975 diventa il primo critico gastronomico in Italia e terzo al mondo. È Edoardo Raspelli. Con lui la critica gastronomica italiana compie oggi 50 anni e per l’occasione si racconta.

Edoardo, origini milanesi doc le sue. Gallera la mamma, Fumagalli la nonna materna. “100 ristoranti Top a Milano e fuori porta”, il suo primo libro del 1977 con prefazione di Carlo Tognoli, ex-sindaco di Milano. “Classe ’49, sono nato all’Ospedale Maggiore ‘Ca Granda, dove il mio papà modenese è stato funzionario. Friulano il nonno paterno, tenente dei carabinieri reali, ultima caserma a Stradella, all’epoca meta dei milanesi con la damigiana da riempire di vinello dell’Oltrepò”.

Via Amadeo 3, tra Città Studi e l’Ortica, dove abitava. La zona cantata da Enzo Jannacci in “Faceva il palo nella banda dell’Ortica“.

“L’Ortica iniziava 200 metri da casa mia oltre la massicciata della ferrovia attuale. Di fronte a casa hanno girato il film ‘Rocco e i suoi fratelli’. Ricordo lungo viale Argonne le casette prefabbricate degli sfollati, dove hanno poi girato anche ‘Miracolo a Milano’. E il carretto tirato a mano dal venditore di lastroni di ghiaccio, all’epoca non c’erano ancora i frigoriferi. All’angolo con via Aselli ho visto nascere uno dei primi semafori di Milano”.

Da doppio ritiro dal liceo Parini a genio del liceo Carducci.

“Scuola elementare Leonardo Da Vinci, la stessa frequentata da Sandra Mondaini e Raimondo Vianello, Cesare Maldini e suo figlio. Poi scuola media Tiepolo e liceo classico Parini, da cui mi sono ritirato due volte con esaurimenti fortissimi. Walter Tobagi mio compagno di scuola. Dopo il collegio a Varese, ‘il deficiente Raspelli’ approda al classico Carducci. Ero talmente un cretino che in seconda liceo ho scritto un articolo sul Corriere. Sono diventato il genio della scuola”.

Quando è nata la sua passione per la gastronomia?

“Da bambino. Mia zia era cuoca provetta e, rimasta vedova, aveva trasformato la villa a Gargnano sul lago di Garda in un albergo di charme. Mio padre, non sopportava aglio, cipolla e qualunque altro odore. Mangiavamo in modo abbondante ma spartano. Ero magrissimo ma goloso e curioso. Al punto che, a 16 anni in autostop con le mie mancette, mi sono diretto verso la Francia. Una sera a Parigi ho cenato a ‘La Tour D’Argent’ e quella successiva a ‘La Serre’ lungo gli Champs Elysées, due miti dell’epoca, spendendo nel ‘66 l’equivalente di 700 euro di pasto da solo”.

Perché giornalista?

“Io volevo fare il giornalista perché mio padre scriveva su ‘La Libertà’ di Piacenza. Aveva le tessere del Milan e dell’Inter, così mi infilavo anche io con la tessera di quasi giornalista e intervistavo gli eroi dell’epoca, come Trapattoni e Gianni Rivera. Primo articolo sulle mie vacanze al centro federale di tennis a Pievepelago (Modena) dove giocavo accanto ad un certo Panatta. A 22 anni Giovanni Spadolini mi ha assunto alla cronaca de Il Corriere d’informazione dove ho seguito i terrificanti anni di piombo della cronaca nera”.

Quando la svolta da critico?

“Tutto nacque quando uscì la Guida Michelin che pubblicava i ristoranti promossi ma non quelli bocciati. Ritenevo giusto parlare sui giornali anche di quelli declassati. E quindi prendendo i giudizi della guida dell’anno e del precedente ho iniziato, creando così uno scompiglio incredibile”.

E poi?

“Mi chiamò il capocronista: ‘Raspelli c’è un padulo’. E io: ‘Cos’è il padulo?’. Andai da Cesare Lanza: ‘Vai al ristorante, mangi, paghiamo noi’, mi disse. Così è nata la critica gastronomica nel 1975. Una rubrica con la mia foto in bianco e nero e qualche schedina telegrafica dei ristoranti”.

Il peggior piatto del 2024?

“A Il piccolo lago di Verbania di Marco Sacco, grande cuoco. Ma il suo dolce emblema ai due cioccolati con un crudo di carpa, una cosa ‘gastro-terrificante!’”.

Il miglior cuoco di Milano?

“Carlo Cracco, un grande cuoco italiano, al quale qualche anno fa diedi una bastonata, di cui parlò anche il Tg2 in apertura. Da ‘Cracco Peck’ mangiai un piatto che Paolo Villaggio avrebbe chiamato una ‘boiata pazzesca’. Successivamente, spendendo una cifra astronomica, 350 euro, sono tornato da lui e ho mangiato un piatto indimenticabile, come non ho mai mangiato in vita mia”.

Il rimpianto?

“Quando prendo il mio primo libro ‘100 ristoranti top a Milano e fuori porta’ mi viene un po’ di malinconia perché certi ristoranti non ci sono più, Alfio Cavour, Il Bagutta”.

Com’è cambiata la ristorazione milanese negli anni?

“Riflette la ristorazione italiana. Nel 1975 tutto era panna, piselli e prosciutto. Si beveva solo Bardolino del lago di Garda e i bianchi del Veneto. Oggi è migliorata come struttura e servizi, ma è un momento difficile per il consumatore. Inoltre, non c’è più ricerca degli ingredienti, si usano prodotti già pronti. Non c’è più il sapore, prevale la fantasia. Il cuoco cerca di scioccare i borghesi, piatti bellissimi come quadri di Pollock, ma un’accozzaglia di ingredienti. Carne, pesce e verdure non sanno più di niente, i palati non sentono più niente. Gli influencer entusiasti per cose sconosciute”.