ANDREA SPINELLI
Cultura e Spettacoli

Dolcenera: "Io diversamente pop, contro l’apparenza"

La cantautrice in tour per l’ambiente: basta con l’individualismo depresso dei trapper, ritroviamo la collettività

Dolcenera

Assago (Milano), 17 novembre 2019 - Come se fosse uscita da una favola di Lewis Carroll, Dolcenera sfodera stasera sul palco del Teatro della Luna quel sorriso da Gatto del Cheshire con cui vaga da oltre 15 anni alla ricerca del suo Paese delle Meraviglie. E lo fa con “Diversamente pop”, il tour che la riporta sulle scene per dare riscontro live al singolo “Amaremare”, testimonial del progetto Plastic Radar di Greenpeace. «Quel ‘diversamente’ è indice di libertà» ammette la 42enne musa pugliese folgorata da De André, al secolo Emanuela Trane, che il 14 dicembre sarà a Varese. «La mia musica spazia dal R&b al rock, dalla dance alla pizzica, al synth pop al soul. Mi sento e piace essere definita diversamente pop». Dopo il destabilizzante ep trap in cui omaggiava Capo Plaza, Ghali e Dark Polo Gang (che brivido ascoltare il Preludio in do minore di Bach affiancato alle rime di Young Signorino), Emanuela con “Amaremare” parla d’ambiente. «Il testo è traversato da ironia amara, ci si accorge dell’inquinamento solo perché le plastiche in mare rovinano i selfie» dice. «Prima viene l’apparenza, poi la salute del mondo».

Per lei il tema non è nuovo. «Bé, il primo album ‘Sorriso nucleare’ parlava pure di una ragazza di Chernobyl. Il cantautore ha il dovere morale di manifestare una visione sociale e politica».

Non tutti la pensano così... «La canzone è specchio della società. Dopo momenti storici in cui la funzione sociale della musica è stata prevalente rispetto al risvolto commerciale, ora è il contrario perché questo è l’animo delle persone. Ma io credo nei corsi e ricorsi storici».

Vale a dire? «I giovani in strada per l’ambiente sono buon segno. Passiamo dall’individualismo depresso dei trapper al senso di collettività».

Come nasce “Amaremare”? «Dall’esperienza di Pride for Future di maggio; a giugno ho scritto il pezzo e a luglio l’ho pubblicato: un’esperienza di sentimento, scrittura e realizzazione rapidissima, dovuta all’urgenza che ti mette addosso una realtà in cui tutto si consuma in fretta. Oggi l’idea di aspettare due anni per mettere in piedi un progetto organico come l’album non funziona più».

L’album però è lo sviluppo di un pensiero. «Nell’era della playlist ogni canzone deve avere la forza di un singolo, il rumore di fondo dei tempi è tanto e per vincerlo bisogna concentrare sforzi e idee».

Parliamo dello spettacolo. «Ci ho messo tutto il mio feroce desiderio di verità. Per me verità significa rompere gli schemi».

Come? «Per mettersi a nudo sulla scena occorre instaurare un rapporto di confidenza col pubblico e l’artista deve mostrarsi onesto per primo; io lo faccio con una parte iniziale tutta piano e voce. Doppia provocazione: induco nell’ascoltatore un sentimento forte, poi scateno la sua reazione. E i mezzi per raggiungere il risultato, oltre alla scaletta, me li dà una band under 25 di grande energia. Gli schemi li rompe la parte più tribale in cui le percussioni del Sud scatenano in platea danze ancestrali capaci di liberare dalle inibizioni vincendo la forza di gravità che, attraverso la poltrona, la inchioda a terra».