Dentello e l'addio alla madre per il tumore: una storia che cura l'anima e vola sui social

Con "Tuamore" lo scrittore milanese Crocifisso Dentello racconta senza veli il sentimento delle perdita. E la sua sincerità diventa presto un caso

Lo scrittore milanese Crocifisso Dentello, 44 anni

Lo scrittore milanese Crocifisso Dentello, 44 anni

Milano - E’ il libro di cui forse si parla di più, in queste settimane, si potrebbe dire. E’ stato ristampato a pochi giorni dalla pubblicazione e sui social se ne discute di continuo. Ma sarebbero note fredde e riduttive. Di “Tuamore“ (La Nave di Teseo) si deve ammettere anzitutto che siamo di fronte a qualcosa di davvero nuovo nel panorama editoriale. Forse a ciò che negli anni ’70 auspicava lo slogan della pubblicità (“la verità, ben detta“), applicato però, in questo caso, alla letteratura.

L’autore di questa storia, intima e a dir poco autentica in ogni risvolto del sentimento, è Crocifisso Dentello, 44 anni, un milanese cresciuto in Brianza e poi nella periferia nord della metropoli, pochi soldi in tasca e una famiglia di immigrati venuta dalla Sicilia a cercare lavoro. Matrice fin qui comune a molti. Il punto è che Crocifisso cresce, fin da bambino, all’ombra della solitudine e della difficoltà di relazione con gli altri, come lui stesso senza troppi pudori ammette.

Pochi amici, nessuno fino ai vent’anni, l’isolamento a scuola tra bulli e complessi di inferiorità, un padre operaio e soprattutto lei, Melina, madre dal carattere forte e orgoglioso, casalinga per imprinting e colf per necessità, nel tentativo di risollevare il modesto bilancio della famiglia. Quello tra Crocifisso e Melina nasce e sempre più diventa un rapporto strettissimo e struggente. D’amore vero, per intenderci. Nulla di edipico, sgombriamo il campo da tesi fuorvianti. Piuttosto la storia di un figlio che vede nella madre il solo polo di riferimento, nel suo orizzonte affettivo.

Crocifisso Dentello con la madre Melina, molti anni fa
Crocifisso Dentello con la madre Melina, molti anni fa

Lei lo sa bene, ma a dirla tutta se ne preoccupa. Vorrebbe che quel figlio uscisse, frequentasse altri ragazzi, trovasse qualche amorucolo, degli interessi che non fossero la lettura nella sua camera. Invece lui se ne sta sempre lì, sepolto sotto i libri che divora, e attraverso i quali viaggia, oltre il pianeta buio della solitudine. Per fare contenta Melina, Croci, come ormai tutti lo chiamano, si inventa addirittura inviti a feste inesistenti, non ultima quella di un Capodanno che passerà da solo in una cabina telefonica, fino al trascorrere della mezzanotte.

Gli anni passano e Melina vive di quotidianità, doveri e tv, lavora e accudisce a suo modo quel ragazzo geniale e difficile, che la ricambia di un sentimento totale. A volte lei lo imbarazza anche - Dio sa per scelta consapevole o per postura naif - con le sue piccole stravaganze in pubblico. Ma l’impressione è che lo faccia per stimolarlo, spingerlo ad andare oltre la paura degli altri e del loro giudizio. E alla lunga ce la fa, Croci diventa un letterato, uno scrittore, un uomo più solido, legge sempre sì, ma si relaziona e perde per strada molte paure, pur conservandone il dono e l’esperienza. Croci cambia. Frequenta gli altri, ama, si apre. In una parola, vive.

La copertina del libro di Crocifisso Dentello
La copertina del libro di Crocifisso Dentello

Qualche anno dopo, però, Melina si ammala di un terribile tumore al seno. I due lottano insieme, Croci la porta da un medico all’altro, frequenta ospedali e specialisti, e la battaglia sembra vinta, ma è un’illusione. Poco più di un anno fa, a 62 anni lei muore e per Croci è il vuoto. La camera in penombra, i meccanismi intoppati del quotidiano, il silenzio della cucina, i pranzi muti con il padre. Ogni giorno si fa lo specchio di un’assenza. Un sentimento privato, insopportabile, che Croci decide di affrontare nell’unico modo che conosce, renderlo pubblico.

Nasce così una prima versione del libro, con il titolo geniale che coniuga due parole antitetiche (tumore e amore). Un manoscritto che porta a Elisabetta Sgarbi, il suo editore. Ma lei dice no. “Non va bene, Croci, è amaro. C’è troppa rabbia. Non è così che tu vuoi ricordare tua madre“. Lui ci pensa e lo riscrive. Ne esce un capolavoro. Un tomo sottile, quasi proustiano nei toni, ma con l’ironia che dà spazio anche alla voce di Melina, alla sua energia, a quel modo scanzonato di assaporare la vita, interrotto solo dal cancro, senza che lei perdesse mai del tutto il sorriso.

C’è la voce di Melina, in questo libro, che rivive ed entra nelle vite degli altri. Senza retorica, con un passo lieve e struggente al contempo. Melina che non si arrende. Il libro fa il botto e la sensazione netta è che ne sentiremo ancora parlare. Dentello alza le spalle: “So di essere in una bolla, e certo a breve passerà, ma a volte adesso torno a sorridere, in fondo mamma è ancora tra noi”.

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