Noi, il presente e il regno del selfie: va in scena la commedia della vanità

Claudio Longhi porta in scena al Piccolo il lavoro di Elias Canetti premio Nobel fra i più dimenticati

In scena al Piccolo Teatro Strehler un cast di ben 23 attori

In scena al Piccolo Teatro Strehler un cast di ben 23 attori

Milano, 15 gennaio 2020 - La società dell’immagine. Divorata dalla propria superficialità. Che a furia di farci selfie ci sfugge tutto fra le dita: la natura che va a fuoco, le guerre sotto casa, le nuove sacche di povertà, la violenza e l’erosione costante dei diritti dei lavoratori (si veda la storia di Cédric Chouviat a Parigi, lo scorso 3 gennaio).  Da tempo abbiamo superato una misura. Nonostante il Novecento ci avesse avvisato con largo anticipo. Come dimostra in qualche modo anche il lavoro di Elias Canetti, premio Nobel fra i più alti e fra i più dimenticati. Che ne «La commedia della vanità» riflette sul tema con toni paradossali. 

Sottolineandone però anche il legame con il concetto di identità e il ruolo centrale che può avere nelle derive autoritarie. D’altronde quando Canetti scrisse l’opera eravamo nel 1933, anche se la prima rappresentazione risale solo al 1965. Da allora il lavoro ha mantenuto una contemporaneità evidente. Che ha spinto Claudio Longhi a portarlo in scena, all’interno di quella più ampia ricerca drammaturgica sulla società europea già sviluppata nei precedenti «La resistibile ascesa di Arturo Ui», «Il ratto d’Europa» o «Istruzioni per non morire in pace». Da stasera al Piccolo Teatro Strehler, «La commedia della vanità» è una sorta di tragicomico monito che proviene da un futuro distopico. Dove una tirannia ha stabilito per legge che la vanità è vietata. Come pure ogni strumento atto a tenerla in vita. Banditi dunque specchi e ritratti. Ma l’immagine è identità. E infatti i risultati saranno molto diversi da quelli programmati. «È una critica aspra quella di Canetti – sottolinea Longhi –, che non può lasciare indifferente il nostro presente, regno assoluto del selfie. 

Eppure il testo, nella sua crociata iconoclasta, ci induce a riflettere pure su come le dinamiche rappresentative siano effettivamente costitutive della dimensione identitaria. L’astinenza da immagine induce al dissolvimento dell’io, ma questo dissolvimento ne esaspera il bisogno, aprendo la strada a sbandamenti populistici e autoritari. Nella parte finale della drammaturgia vanno in scena individui che, dopo anni di vessazioni e negazioni della rappresentazione, hanno perso la propria identità e che proprio per questo si dedicano all’erezione della statua di un nuovo dittatore». Eppure si ride con Canetti. Molto. Oltre che rimanere affascinati da un utilizzo pirotecnico del linguaggio, intricato e mutevole.  Dove le parole della quotidianità spezzano regole e formalismi. Sul palco un coro polifonico. Affidato a un cast di ben 23 attori: Fausto Russo Alesi, Donatella Allegro, Michele Dell’Utri, Simone Francia, Diana Manea, Eugenio Papalia, Aglaia Pappas, Franca Penone, Simone Tangolo e Jacopo Trebbi affiancati da due musicisti e dai neo-diplomati della Scuola Iolanda Gazzerro di ERT, di cui Longhi è direttore da tre anni. Repliche fino a domenica 26. Venerdì alle 17 invece l’incontro con la compagnia al Chiostro di via Rovello.  

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