
Claudio Longhi
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Trenta giorni di direzione. Periodo acerbo per un bilancio. Utile invece per chiarirsi le idee su progetti e intenzioni di Claudio Longhi, nuovo direttore del Piccolo. Dopo le lunghe polemiche degli scorsi mesi, si torna finalmente a ragionare di teatro. Di scuola e di tecnologie. Di una Milano vicina alle proprie istituzioni artistiche e di un Paese incapace di trovare le proprie risposte nella cultura.
Longhi, come ha trovato il Piccolo? "Nel mio ritorno ho sentito grande accoglienza da parte di tutta la struttura. Il dialogo è ripreso con naturalezza, anche se preoccupa lo scenario incerto. Il teatro non è una bella statua immobile, possiede una natura tecnica, pratica. È caratterizzato dal respiro, per questo è stato toccato a fondo dalla pandemia".
Il festival Danae ha chiuso poche ore dopo l’apertura, avete annunciato titoli senza sapere se riaprirete: c’è un problema di dialogo col Ministero? "L’emergenza, come tale, si sottrae alla norma. Ma bisogna ammettere che si percepisce una sensazione di abbandono. C’è molto spazio fra la consapevolezza di non essere la prima delle priorità e uno stato di così profonda incertezza. E non mi riferisco alle date, quanto all’assenza di un orizzonte operativo, di linee programmatiche. Un discorso che parte dal teatro ma che arriva a tutto il settore culturale e alla ricerca. Ambiti con cui il Paese storicamente fatica a confrontarsi all’interno di una dinamica di crescita".
Quali le conseguenze nella formazione? "La scuola è sempre stata una radice del mio operare. La collaborazione con Luca Ronconi è iniziata nei primi Anni ’90 seguendo i processi didattici legati al suo lavoro, durante lo studio del “Peer Gynt”. La considero un patrimonio nella vita di una comunità, è un dovere morale e politico averne cura. Io vorrei ribadirne la centralità all’interno del teatro. In generale ho l’impressione che l’emergenza stia creando vuoti formativi, non solo agli attori". Che giudizio ha del teatro online, in streaming, alla tv? "Dal punto di vista didattico è necessario un confronto con questi mezzi, al centro di un dibattito molto vivace. Sono pratiche che non possono sostituire le dinamiche teatrali. Lo spettacolo dal vivo è tale quando è vivo, incontro di corpi nello spazio. Fisiologica arcaicità che non si può cancellare e si pone come perimetro. Ma come la stampa ha mutato il rapporto con la scrittura, così assistiamo a una evoluzione del medium".
Non teme una deriva? "Mi spaventano le aberrazioni, non le nuove tecnologie. Eviterei di demonizzare la possibilità. Certo, se pensassimo che lo streaming sia una sorta di salto di specie, allora probabilmente smetterei di fare teatro. Ma per ora lo vedo come uno strumento imperfetto di approssimazione alla pratica teatrale, capace di raggiungere spettatori che non avremmo incontrato". Quanto vuole investire sullo scouting di talenti? "Abbiamo un dovere morale, un valore connesso alla natura pubblica del Piccolo che deve porre al centro del suo agire il rischio culturale. Il nuovo è una scommessa che si ha il dovere di affrontare con il diritto di sbagliare. La centralità della scuola sarà un altro gesto concreto in questa direzione".
Esistono caratteristiche proprie del teatro milanese? "Sì, ma al di là degli esiti artistici, mi interessa il fatto che a Milano si percepisca una relazione più forte della comunità con le proprie realtà teatrali. Un senso di appartenenza. Concetto che rimanda al posizionamento che deve avere la cultura in una società. Non è un caso che il Piccolo sia nato qui. E ciò dona alla città forza paradigmatica all’interno della scena nazionale".
Chi sceglierà per la consulenza artistica? "Diciamo che i lavori sono in corso... Mi auguro di arrivare a una conclusione nelle prossime settimane".
Se dovesse sintetizzare in tre parole la sua futura direzione? "Comunità. Scuola/giovani. Funzione pubblica".