STEFANIA CONSENTI
Cultura e Spettacoli

Brera, fine dell’era Bradburne: "Ho tenuto a distanza la politica, Milano dimostri più coraggio"

Il direttore della Pinacoteca lascia dopo otto anni di mandato (e una rivoluzione al museo) "Ho scoperto la burocrazia, mai chiesto aiuto ai ministri. Turismo, città sulla strada giusta"

James Bradburne, 68 anni, anglocanadese
James Bradburne, 68 anni, anglocanadese

Non poteva mancare al suo ultimo impegno pubblico, nella Biblioteca Braidense, che apre al pubblico con una mostra sul greco antico. Non meno adorata dell’altro suo "amore", la Pinacoteca di Brera, "due gemelle diverse" e "completamente cambiate da come le ho trovate nel 2015". James Bradburne, 68 anni, anglocanadese, architetto, museologo, bibliofilo, scrittore, innamorato dell’Italia ("Non andrò via, resto a Firenze") dà l’addio dopo otto anni di direzione a Brera.

Direttore coincide con il suo compleanno, domani...

"È la fine di un ciclo. Questa è la “poesia“ del mio mandato: secondo lo zodiaco cinese tutti i conti tornano, avevo 60 anni quando sono arrivato, è il tempo di lasciare. Sono stati anni impegnativi durante i quali sono cambiato io, è cambiata la città. Ed è radicalmente cambiato il museo con il bar, il bookshop, gli allestimenti nuovi, il sito web... Ne sono convinto: Brera è finalmente tornata nel cuore dei milanesi, con il suo immenso patrimonio culturale".

Come è cambiata Milano?

"In meglio, secondo me. Dopo Expo, che è stata una ventata di aria nuova in una città che aveva la necessità di riscoprirsi, direi anche di innamorarsi nuovamente di se stessa, ha corso un grosso rischio. Quello di cadere nella trappola del turismo di massa. Dopo qualche momento di disorientamento ha scelto la strada giusta, quella di un turismo che punta sulla qualità dell’offerta culturale, e non sui numeri. Lo si vede anche in momenti quali il Salone del Mobile, o la Settimana della Moda".

Quanto invece è cambiato lei?

"Fisicamente sono molto più lento, ho perso un po’ della mia naturale allegria e leggerezza. Lavorando nel cuore di una grande istituzione pubblica come Brera mi sono dovuto confrontare con la burocrazia italiana. Non era nella mia cultura. Ho visto passare tanti Governi, ma ho sempre mantenuto le distanze dal mondo della politica: so che non sempre era apprezzato questo atteggiamento ma faceva parte della mia disciplina personale. Ho preso sul serio la missione dell’autonomia per Brera, ho avuto una squadra che mi ha supportato e “sopportato“, e che ringrazio".

Avrà avuto un ministro preferito, da Franceschini, che l’ha voluta incurante delle polemiche sui direttori stranieri, ad Alberto Bonisoli, ministro della Cultura con il governo Conte, ora Sangiuliano...

"Non ho avuto preferenze. Ho sempre mantenuto rapporti cordiali con tutti, forse con Franceschini c’è stato un legame più personale. Ma non ho mai voluto chiedere aiuto: invece di andare a fare il giro dei ministri, ho preferito interrogare il passato, i miei predecessori. Loro mi hanno guidato nella missione di restituire a Brera il lustro che meritava. In 70 anni ne ha avuti di valentissimi direttori, da Russoli a Modigliani e Fernanda Wittgens. Ho trovato in loro le parole per poter costruire il progetto contemporaneo di Brera".

Cosa le resta di questa esperienza?

"Ho imparato ad ascoltare, ad essere paziente, non era nel mio carattere. Ho imparato ad andare avanti nonostante gli ostacoli".

Ha qualche rimpianto? C’è qualche errore che avrebbe evitato, ad esempio su Palazzo Citterio?

"Non parlerei di errori. Ho fatto delle scelte e mi sono assunto le responsabilità. Non ho rimpianti. Se parliamo di Palazzo Citterio, forse sapendo che sarebbero trascorsi ancora otto anni, avrei insistito su alcune scelte possibili. Ma la storia non si fa con i se e con i ma. Purtroppo, però, il museo non sarà mai all’altezza di questa città. Palazzo Citterio è piccolo, Milano dovrà mostrarsi più coraggiosa, e riunire sotto lo stesso tetto (sotto l’ombrello di un’iniziativa pubblica) collezioni prestigiose come le raccolte Jesi, Vitali Jucker e Mattioli".

Otto anni circondato dai capolavori, cosa le mancherà di più?

"Tutto! Sono un collezionista di libri, quindi della Braidense amo l’immenso patrimonio. E, sì, della Pinacoteca mi mancherà il Caravaggio, il mio punto di riferimento. Ma anche Raffaello, Bellini".

Un consiglio al suo successore?

"Ascoltare, ascoltare, ascoltare il cuore di Brera".

Mancheranno anche suoi gilet, colorati, lei è sempre stato un uomo elegante, alla moda...

"Non un dandy, però, 30 anni fa avevo deciso di farmi realizzare un gilet per ogni mostra che avrei fatto, ma non potevo sapere cosa mi avrebbe regalato il destino. Ne ho 85, e ognuno è un modo per parlare il linguaggio dell’arte, per raccontare, anche con splendidi tessuti, la grande bellezza".

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