DIEGO VINCENTI
Cultura e Spettacoli

Antonio Viganò porta un peep show a teatro, senza la Kinski in versione Cenerentola

Fino a giovedì al TeatroLaCucina dell’ex Paolo Pini l’ultima produzione dell’Accademia Arte della Diversità

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Milano - Come il grande Harry Dean Stanton in "Paris, Texas" di Wim Wenders. Che ritrova sua moglie in un peep show. La osserva nell’ombra, attraverso lo specchio: Nastassja Kinski in maglioncino fucsia, da perderci la testa. Solo che Antonio Viganò ha trasferito tutto questo a teatro: quattordici cabine vetrate e individuali, lo spettacolo nel mezzo. Fino a giovedì al TeatroLaCucina dell’ex Paolo Pini, "Un peep show per Cenerentola" è l’ultima produzione dell’Accademia Arte della Diversità. Compagnia dove il palcoscenico si confronta con il disagio psichico. Casa base al Teatro La Ribalta di Bolzano, il progetto torna ospite del Festival "Da vicino nessuno è normale". Con Viganò alla regia e Paola Guerra ai testi. 

Viganò, come mai un peep show? "Dovevamo inventarci qualcosa per superare il lockdown e tenere attivi i nostri attori. Sono luoghi in cui ti imbatti in giro per il mondo, me li ricordo ancora quando stavo a Parigi. All’inizio del Novecento permettevano di vedere cose strane e sconosciute, poi sono diventati spazi di voyeurismo erotico. A noi interessava il distanziamento, oltre al tema dello sguardo".

La solitudine di una cabina pare in antitesi con il teatro. "Eppure c’è qualcosa di profondamente teatrale. Lo specchio diventa la nostra quarta parete. Certo la relazione è particolare, più intima, meno condivisa. Per gli attori è difficilissimo: lavorano in un cilindro claustrofobico osservati a 360 gradi".

Lo sguardo torna spesso nei vostri lavori. "Riflette la condizione sociale dei nostri attori, lo sguardo degli altri che definisce e che noi cerchiamo strenuamente di modificare, concentrandoci sulla comunicazione. Dobbiamo essere all’altezza di quello sguardo, per poi superarlo. Una questione etica e politica, è un attimo scivolare".

Cosa intende? "Se facciamo qualcosa di buono, i nostri attori sono dei bravi attori. Ma se lo spettacolo è brutto, i ragazzi tornano subito ad essere degli attori con handicap. Per noi questa è una grossa responsabilità: dobbiamo rompere paradigmi e pregiudizi, anche attraverso la qualità".

Perché Cenerentola? "Ci divertiva la scena del gran ballo. Una situazione ideale per un peep show, dove osserviamo tutte le donne in età da marito che si mettono in mostra sotto lo sguardo del principe...".

Che momento è per l’Accademia? "È una grande scuola di teatro e di umanità, dove ci si accanisce a cercare la bellezza, senza mai cedere al sentirsi inadeguati. Non è facile. Ma tutti ci hanno seguito con grande attenzione in questi otto anni. Nonostante le difficoltà, ho l’impressione che le nostre attività siano ora parte del teatro, non un teatro a parte. E qualcosa porteremo anche a Milano, attraverso dei laboratori". 

Il settore invece come lo vede? "Sono meno ottimista di prima. Il teatro pubblico dovrebbe aiutare a scardinare le dinamiche di mercato. Ma lo vedo invece schiavo dei suoi numeri".