Antonio Albanese: io, sempre Contromano / VIDEO

L’intervista al regista-attore che ha presentato il suo film in anteprima

Antonio Albanese  in una scena del suo  nuovo film “Contromano”

Antonio Albanese in una scena del suo nuovo film “Contromano”

Milano, 24 marzo 2018 - Contromano rispetto all’ «accoglienza» si va da Milano zona Sempione al Senegal, zona deserto e poverissimi villaggi colorati. Sul Fiorino tuttovetri dell’onesto, riservato, ma infine incazzatissimo signor Mario Cavallaro, educato esercente di calze di tradizione, si ritrova legato e imbavagliato Oba, monolocale in affitto a Lampugnano, ma esagerato ambulante concorrente che vende a prezzi stracciati calze «filo di Svezia» davanti alle due vetrine di Cavallaro. Viaggio di solo andata: «Amigo, si torna a casa! Ti ci riporto io. E va un po’ a c....». Calato in pieno dibattito (post) elettorale, “Contromano” è il nuovo film di Antonio Albanese regista e protagonista (in sala dal 29), cronaca, denuncia, dialogo, infine fiaba sociale.

Da aiutiamoli-a-casa- loro a riportiamoli-a-casa-loro?

«Sì, è la mia provocazione a partire da un problema a cui nessuno è in grado di dare una vera soluzione. Ma invece di un trattamento drammatico, come altri hanno già fatto, cerco una leggerezza venata d’ironia e infine uno scambio di posizioni che aiuti a conoscersi e capirsi».

Inizio duro a Milano.

«Per forza, questa città, la mia città, è esempio quotidiano di integrazione e insieme di saturazione. Ho osservato come si muovono loro e come reagiamo noi. Mario è un uomo severo e gentile, paziente con tutti, ma uno che ti si mette davanti al tuo negozio e ti porta via uno per uno i clienti, be’ Mario scoppia. Sfioro l’equivoco razzista, ma il mio personaggio non lo è, vuole soltanto risolvere il problema. A modo suo».

Cavallaro pensa a un ri-accompagnamento di massa?

«Questo è il paradosso. Se ognuno di noi riportasse un migrante a casa. Ma il senegalese Oba ha dei legami, parenti, una vita, una sorella e le cose non stanno come sembrano, la vicenda si sviluppa e quella possibilità infine non è una soluzione. È un road-movie al contrario».

Mario parte come Alex Drastico e arriva come Epifanio.

«Sono soltanto ipotesi sui miei personaggi di scena. In realtà mi interessava raccontare un piccolo eroe, una maschera contemporanea, ma anche un po’ tutti noi in questa malinconia dell’Occidente di oggi. Ho cercato di pensare alle paure e alle incognite, ma anche ai sogni, che abbiamo un po’ tutti, noi e loro. Provando a confrontarli è possibile scoprire come incontrarsi e forse come risolvere tanti problemi».

Davvero non si è fatto un’idea di soluzione?

«Avendo studiato coltivazione per hobby nella sua serra sul terrazzo milanese, il mio Mario si trova infine laggiù a dare consigli. Da Milano il set ha viaggiato fino in Mauritania, e lì è successa una cosa. C’erano coltivazioni di ulivi, ma in condizioni quasi disperate. Un giorno ho detto al capo del villaggio: ma perché avete abbandonato questa risorsa? Lui ha guardato gli ulivi e ha detto: ma noi non li abbiamo abbandonati!».

Questo sarebbe un aiuto indispensabile?

«Il film lo dice chiaramente. Andare a collaborare per migliorare il patrimonio locale, valorizzare quei territori, far crescere quegli ulivi come si deve per il reddito ottimale che possono dare. Di recente, per esempio, Slow Food ha finanziato migliaia di orti in Africa insegnando alle famiglie come coltivare dove la terra è buona».

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