Zucchero sul palco di Assago tra inediti di Wanted e successi inossidabili

Mr. Fornaciari e le sue Scintille

Zucchero Fornaciari

Zucchero Fornaciari

Assago, 2 marzo 2018 -  L’abbraccio con Dolores O’Riordan sullo schermo cuoriforme che s’infiamma alle sue spalle col sangue e col cuore di “Puro amore”, vela di rimpianto la maratona che stasera riporta Zucchero ad Assago. Lui e la musa di Limerick (re)incisero quello storico pezzo di “BlueSugar” tra i solchi dell’album di duetti “Zu & Co.” cantandolo poi dal vivo alla Royal Albert Hall. Ora “Puro amore” diventa l’approdo sicuro in cui “Delmo” spinge l’inventario di vita suggeritogli dalla recente antologia “Wanted”, affrontata al Forum col sostegno della spettacolare band di 12 elementi già applaudita nel Black Cat Tour, nobilitata dalle presenze dell’ex New Power Generation Kat Dyson alla chitarra e di Brian Auger all’Hammond. Lo show al Forum (tutto esaurito) sarà introdotto dal set di Gheri, al secolo Gabriele Cancogni, il cantautore lucchese di “Generazione 0”.

Zucchero cosa cambia rispetto allo show applaudito negli ultimi due anni all’Arena di Verona?

«Il repertorio che abbiamo messo a punto per questa rentrée nei palasport include diversi brani che non facevo da tempo come ‘Ridammi il sole’, ‘Non ti sopporto più’, ‘Scintille’, ma anche i tre inediti di ‘Wanted’. Ho intenzione di cambiare ogni sera una decina di canzoni rispetto a quella prima. Non manca, naturalmente, una carrellata di hit che va da ‘Il volo’ a ‘Così celeste’, da ‘Diamante’ alla ‘Libidine’ (‘Solo una sana e consapevole libidine salva il giovane dallo stress e dall’Azione Cattolica’ – ndr), più qualche brano di ‘Chocabek’ perché godo ancora a farli; ci sono, infatti, pezzi che mi fanno sentire a casa mentre li suono e quel disco ne contiene diversi».

Quali sono i pezzi meno frequentati?

«Se non ricordo male, canzoni come ‘Scintille’ o quella ‘Ali d’oro’ incisa a suo tempo con John Lee Hooker le ho suonante solo nel tour di ‘Shake’. L’idea è quella di fare un concerto più maturo del precedente, con pezzi dalla struttura musicale un po’ più complessa. Sul palco, d’altronde, ho dei musicisti bravissimi a cui sarebbe un delitto non lasciare tutto lo spazio che meritano».

“Wanted” fa il punto su passato e presente. Ha già un’idea di futuro per la sua musica?

«No, ma so che arriverà anche per me un cambiamento. Non di stile, perché non mi metto certo a fare il punk o il jazz, ma d’intenzione sì. Vorrei andare un po’ controcorrente rispetto a quello che offre oggi il mercato del pop. Non a caso ascolto artisti che le radio neppure programmano; gente come Steven Wilson che non fa certo canzoni di quattro accordi».

“Dune mosse” rimane un classico del suo repertorio. L’ha fatta pure con Miles Davis, che in Italia amava soprattutto due voci: la sua e quella di Nino D’Angelo.

«Ho sempre pensato che il motivo per cui Miles accettò di mettere la sua tromba in ‘Dune mosse’ è legato alla sua curiosità; al fatto che in quel periodo stesse esplorando la musica mediterranea con l’idea di conservarne un’impronta tra i solchi di ‘Fiesta’. Quella napoletana è la canzone mediterranea per eccellenza e quindi, forse, pure l’interesse per D’Angelo nasce da questo. Pure a me la musica del mondo affascina moltissimo. Qualche tempo fa, ad esempio, ho sentito un gruppo mariachi e mi sono emozionato; non penso, naturalmente, d’incidere il prossimo album tutto in quella chiave, ma qualche sfumatura potrebbe esserci».

Ma lei cosa cerca oggi nelle canzoni?

«Trovare nella canzone maggior spessore del passato è un’esigenza che sento particolarmente forte in questo momento. Per stare bene ho bisogno di musica un po’ meno radiofonica e un po’ più vera; anche perché voglio invecchiare da musicista, non da popstar».

E in questo il palco aiuta.

“Più passa il tempo e più la corda si accorcia, questo mi mette addosso una gran voglia di concerti. Non nascondo che quando finisco una tournée vado in depressione, anche se si tratta di una cosa leggera, controllata, più vicina alla malinconia che alla tristezza vera».

Perché?

«Perché in tour tutto è molto veloce, quindi, una volta a casa, ti sembra che il mondo vada al ‘rallenty’, devi riabituarti ai ritmi domestici. Ci vuole un po’ di decompressione perché anche il cantante finito il tour… deve decantare».

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