Francesco Wu, l’imprenditore della svolta: "Anni di lotte poi la collaborazione, così siamo diventati i nuovi Navigli"

Con l’associazione Italia-Cina e il suo ristorante ha guidato la sterzata: "Dieci anni fa nessuno l’avrebbe detto"

Francesco Wu

Francesco Wu

La rivoluzione gastronomica di Chinatown, allo stesso tempo motore ed effetto del rinnovamento del quartiere da dieci anni a questa parte, ha due punti di riferimento abbastanza precisi: la Ravioleria Sarpi di Agie Zhou e Ramen-a-mano di Francesco Wu, tra i primi a scommettere su una ristorazione cinese (quasi) tradizionale nei contenuti, ma all’avanguardia nella forma con cucine trasparenti e piatti preparati sotto gli occhi dei clienti. Il loro clamoroso successo ha aperto la strada all’attuale sfilata di locali della zona, che hanno provato a replicarne, ognuno a modo proprio, la formula.

Ma è solo la parte più evidente di una trasformazione profonda che ha coinvolto tutta la zona: da luogo chiuso e guardato con diffidenza a zona attrattiva, affollata, addirittura una delle più belle di Milano per tante persone. "È stato un percorso difficile e faticoso – dice Francesco Wu, imprenditore della ristorazione e protagonista del rilancio di Chinatown con l’Associazione Imprenditori Italia-Cina di cui ora è presidente onorario – Quello che adesso è diventata Chinatown è il prodotto di anni di battaglie che hanno cambiato innanzitutto la narrazione sui cinesi a Milano. Un cambio d’immagine che ha trasformato gli imprenditori della zona da minaccia a risorsa, da corpo estraneo e chiuso a parte integrante del tessuto cittadino. Ormai è una zona turistica a tutti gli effetti, al pari dei Navigli o di altri quartieri simbolo".

Il cammino è iniziato alla fine degli anni Duemila con la lotta alle misure imposte dalla giunta Moratti prima e Pisapia poi. "Il punto di svolta – ricorda Wu – è stata la vittoria al Tar sulla Ztl nel 2013. Da lì in poi si è avviato un dialogo con le istituzioni che ha cancellato la politica delle imposizioni discriminatorie, cambiando il rapporto tra comunità di origine cinese e città: la diffidenza si è trasformata in collaborazione".

Il risultato è un quartiere aperto, con un’offerta commerciale unica per Milano. Una manciata di vie in cui c’è davvero tutto. Botteghe storiche, negozi di tecnologia, abbigliamento, oggetti e curiosità. E soprattutto ristoranti. Di tutti i tipi e i format, ma comunque ormai lontanissimi sia dall’antico stereotipo del ristorante cinese con menù infiniti e cucina ibridata dai gusti occidentali, sia dall’ondata sushi e all you can eat dei primi anni duemila. "Ora siamo a quella che io chiamo ristorazione cinese 3.0 – spiega Wu –. Cucina autentica, pochi piatti e attenzione alla materia prima. Noi e la Ravioleria siamo stati i primi, quasi dieci anni fa, a puntare sulla qualità e l’autenticità. Il nostro successo, arrivato fin da subito, ha spinto poi tanti altri imprenditori a imitarci. Il quartiere è così cambiato radicalmente. I grossisti sono in pratica scomparsi e le vie si sono popolate di locali sempre affollati. Chi l’avrebbe detto anche solo dieci anni fa? Quando Chinatown era dipinta come una specie di quartiere malfamato".

Tanto che stanno affacciando problemi tipici delle zone turistiche, come i prezzi immobiliari fuori controllo, e della movida (anche se qui i locali notturni sono una manciata), come decoro urbano e pulizia. "È difficile smaltire tutti i rifiuti del weekend – conclude Wu –. Ma ci stiamo lavorando e stiamo cercando una soluzione insieme ad Amsa. Del resto, dopo i problemi enormi che abbiamo affrontato e risolto in questi anni, un po’ di spazzatura non può certo spaventarci".