
L'ospedale Sacco è specializzato nelle malattie infettive
Milano, 5 agosto 2025 – Virus contro batteri. Anzi, contro uno specifico “superbatterio“, di quelli resistenti a tutti gli antibiotici che rappresentano oggi una delle più grandi minacce alla salute globale.
Il batterio in questione, Pseudomonas Aeruginosa, spesso presente in contesti ospedalieri e noto per la difficoltà a eradicarlo, aveva reso inguaribile un’ulcera da pressione - anche detta piaga da decubito - che tormentava da anni una paziente in cura, per essa, al reparto di Malattie infettive dell’ospedale Sacco di Milano: il patogeno non rispondeva più a nessuno degli antibiotici tradizionali, alle medicazioni e in sostanza a tutte le terapie convenzionali, impedendo la guarigione della ferita.
Così i medici hanno deciso di tentare la strada dei “batteriofagi”, o, in versione abbreviata, “fagi”: sono virus naturali che attaccano esclusivamente degli specifici batteri. Non li “mangiano”, come suggerisce l’etimologia, ma li infettano, replicandosi al loro interno fino a distruggerli.
È un approccio terapeutico molto innovativo, utilizzato al momento solo per pazienti con infezioni croniche così complesse da non avere alternative. Come nel caso della donna curata al Sacco, una dei primi pazienti al mondo a sperimentare questa “terapia fagica” che le è stata somministrata in ambito “compassionevole” (il regime che si utilizza per offrire una cura sperimentale a persone che hanno esaurito ogni opzione terapeutica canonica).
I medici dell’Asst Fatebenefratelli-Sacco, coordinati dall’infettivologo Matteo Passerini dell’ospedale di Roserio, hanno collaborato con il Dipartimento di Biologia dell’Università di Pisa e con un centro di ricerca della prestigiosa Mayo Clinic di Rochester, Minnesota, negli Stati Uniti che è specializzato nella produzione di “fagi” personalizzati per mettere a punto la terapia. Ogni fase, dalla selezione del fago al monitoraggio clinico, è stata supervisionata da un’équipe multidisciplinare.
E i primi risultati sono stati più che soddisfacenti: molteplici prelievi dalla ferita hanno mostrato l’eradicazione del batterio, oltre a un miglioramento della lesione. La paziente così ora è candidabile a una procedura di innesto cutaneo - prima controindicata, proprio a causa dell’infezione da Pseudomonas Aeruginosa che ne avrebbe in breve vanificato l’efficacia – che consentirebbe di chiudere la piaga, aperta da diversi anni. Questo successo, tra i primi al mondo, rappresenta un passo concreto verso l’integrazione nel trattamento delle infezioni più difficili della terapia fagica, che utilizza virus selezionati come armi naturali ad altissima precisione per combattere i batteri pericolosi senza danneggiare il resto del microbiota, cioè l’insieme dei microrganismi che convivono pacificamente col nostro corpo (virus, batteri, funghi, protozoi, dieci volte più numerosi delle cellule di cui siamo fatti).
“Questa esperienza dimostra come la collaborazione tra centri di ricerca italiani e internazionali, la ricerca scientifica e l’innovazione clinica possano offrire nuove soluzioni a problemi che oggi hanno limitate possibilità terapeutiche – osserva il professore (della Statale) Andrea Gori, direttore dell’unità di Malattie infettive dell’Asst Fatebenefratelli-Sacco –. La terapia fagica apre nuove prospettive nel trattamento delle infezioni resistenti, offrendo speranza a quei pazienti per cui le opzioni tradizionali sono ormai esaurite”.