MAURIZIO
Cronaca

Viale Majno, la casa di Antonio Porta e il Liberty di Palazzo Invernizzi

Maurizio Cucchi Porta Venezia e dunque piazza Oberdan. Vedo con piacere il chiosco del fioraio e i libri delle bancarelle, il che...

Cucchi

Porta Venezia e dunque piazza Oberdan. Vedo con piacere il chiosco del fioraio e i libri delle bancarelle, il che mi dà un duplice senso di ristoro. Oltrepasso l’hotel Diana e mi immetto in viale Piave. Mi viene ben presto voglia di deviare e mi spingo così in viale Luigi Majno, dedicata al giurista e politico vissuto tra il 1852 e il 1915, quando si spense il 9 gennaio, e dunque centonove anni fa. La strada, come è del resto noto, è un’ampia via di enorme scorrimento automobilistico e i suoi eleganti palazzoni alternano soluzioni moderne ad altre più semplici e storiche che inevitabilmente preferisco.

Arrivo davanti all’ingresso del civico 32, dove so che aveva abitato da giovane un personaggio importante della nostra cultura, il poeta Antonio Porta, che purtroppo ci ha lasciato prematuramente, nel 1989, a soli 53 anni. La sua opera, però, resiste e resisterà, e credo proprio che Milano dovrebbe dedicargli almeno una bella strada. Comunque proseguo, osservo il palazzo enorme e gelido della Scuola Europa e intanto mi viene in mente che lì vicino aveva vissuto da ragazzo un altro poeta, Milo De Angelis, uno dei migliori d’oggi, a cui mando un saluto d’amicizia, adesso che abita in tutt’altra zona. Decido poi di abbandonare il viale Majno, e mi immetto sulla destra nel quartiere che mi porterà fino a corso Venezia. Sono in via dei Cappuccini, e subito spicca per me il liberty eclettico di Palazzo Berri Meregalli, costruito tra il 1911 e il 1913 su progetto di Giulio Ulisse Arata, con le sue ricche decorazioni, con varie figure di animali, statue, pitture, mosaici e ferri battuti. Lì vicino è anche il celebre Palazzo Invernizzi, con il giardino e i fenicotteri, nientemeno, e ancora con il suo splendido liberty. E pensare che in quel primo Novecento qui c’era persino la cosiddetta Portascia, una specie di misera cascina poi abbattuta, incongrua in un contesto così elegante. E che tale, intatto rimane all’occhio anche veloce del passante.