SIMONA BALLATORE
Cronaca

Viaggio nell’architettura universitaria: "Così gli atenei producono città"

Progetti su scala metropolitana (e oltre), campus senza recinti e il nodo del caro-affitti da sciogliere

Viaggio nell’architettura universitaria: "Così gli atenei producono città"

Viaggio nell’architettura universitaria: "Così gli atenei producono città"

Milano città universitaria, Milano ridisegnata dalle università, che trasformano interi quartieri e periferie, allargando i confini. È al ruolo urbano degli atenei che la Fondazione dell’Ordine degli Architetti dedica il decimo volume della collana “Itinerari di architettura milanese“. "Da più di vent’anni con questo progetto editoriale descriviamo la città dal punto di vista degli architetti anche a un pubblico più vasto – spiega Maurizio Carones, vicepresidente della fondazione e direttore della collana –. L’obiettivo è offrire una guida, uno strumento per leggere la città. Ora applichiamo questo sguardo a “Milano e le università“, non solo per descrivere le caratteristiche architettoniche degli edifici ma per mostrare come le università facciano parte di un sistema molto articolato". L’itinerario si snoda lungo sette atenei (Politecnico, Bocconi, Cattolica, Statale, Iulm, Milano-Bicocca e Humanitas), raccontando gli edifici ma anche i progetti in divenire, dal distretto dell’innovazione in Bovisa all’espansione della Cattolica nella caserma Garibaldi, da Iulm 8 che allungherà la sua “proboscide“ su via Russoli, alla Barona, fino al campus Mind a Rho.

Professore Carones, Milano è una città universitaria?

"Non è solo universitaria, ma anche universitaria, è uno dei livelli descrittivi: Milano è tante città, la città dell’editoria, della moda, del design e anche delle università. Lo è diventata, non lo era fino a metà dell’Ottocento. Con l’Unità d’Italia ha acquisito un ruolo moderno per la nazione, è diventata “la città più città d’Italia“, per citare Giovanni Verga, e si è attrezzata di conseguenza, capendo che le università sono uno strumento importante. Le città universitarie tradizionalmente erano altre: Bologna, Padova, Napoli, in Lombardia c’era Pavia. Nel 1863 è nato il Politecnico, poi Bocconi nel 1902, cent’anni fa la Statale".

E da allora gli atenei “producono città“: hanno cambiato il volto delle periferie e creato nuovi centri.

"È evidente. Sono state una risorsa ed è una questione da tenere presente anche per affrontare il futuro. Nel tempo è aumentato in modo notevole il ruolo delle università come attrattori sociali, con l’incremento del numero degli studenti, ma anche il loro ruolo di agenti di trasformazione urbana su scala metropolitana, pensiamo all’Humanitas a Rozzano, alla Statale a Mind. E lo sguardo si allarga alla regione con le sedi del Politecnico a Lecco e a Mantova, per esempio".

Qual è l’impatto?

"Le conseguenze strutturali del sistema universitario sono sempre più evidenti, sulle infrastrutture ma anche su aspetti di sociologia urbana. Sono poli d’attrazione e questo ha ricadute sull’uso della città, utilizzata anche da persone che vi abitano per qualche anno, in modo temporaneo, in relazione con i residenti, come pure sulla mobilità".

Milano attrae studenti, Milano rischia di allontanarli per i costi eccessivi degli affitti. Può esserci un effetto boomerang?

"Sì, il pericolo c’è. In parte si sta affrontando il problema, ma la soluzione è ancora lontana. Vanno trovati degli equilibri diversi, che rispondano a una città che è cambiata rispetto a qualche decennio fa e che deve restare attrattiva e ospitale. Le amministrazioni devono cogliere opportunità".

Dai chiostri della Ca’Granda ai palazzi di Gregotti in Bicocca, fino agli ultimi rendering: cosa ci raccontano le università?

"Ogni architettura parla del suo tempo, ma credo ci sia un tratto comune: quasi sempre le università hanno colto l’occasione per portare architetture di qualità in città. C’è poi un tentativo che emerge, quello di proporre campus particolari, molto diversi da quelli internazionali presenti in altre nazioni. Le università milanesi cercano un rapporto di scambio con la città. Penso per esempio ai campus di Bocconi e Iulm: non sono chiusi, non sono recintati, ma si offrono come luoghi di interazioni, sono permeabili. Nei progetti in via di sviluppo emerge anche una particolare attenzione al verde e allo spazio esterno".

Oggi le università sono ancora a caccia di spazi, ma il calo demografico ha già cominciato a soffiare alle scuole medie e si è affacciato tra i banchi di prima superiore. Questo scenario potrebbe riflettersi sulle architetture delle università?

"Si sta affermando sempre più la necessità di pensare a spazi flessibili, a spazi comuni da valorizzare e a un maggiore scambio con la città. Penso a luoghi per la didattica, per la ricerca e per gli uffici che abbiano un carattere meno rigido, come sta succedendo nelle aziende, che siano più elastici in rapporto all’uso, alla stagionalità. Verosimilmente si ragionerà sempre più su spazi ibridi. Sappiamo però che i tassi di frequenza dell’università sono ancora bassi rispetto ad altri Paesi d’Europa, magari il calo demografico sarà compensato da fasce di giovani che oggi non accedono all’università. In qualsiasi caso, la flessibilità offre modelli interessanti".