ANDREA GIANNI
Cronaca

Strage di via Palestro, il pompiere e la bomba: “Era il compleanno di Pasotto, non tornò più a casa”

La strage del 27 luglio 1993. Maimone: “Lasciammo dolci e spumante sul tavolo, sembrava un’uscita di routine. Era una scena di guerra. Fu il cardinale Martini il giorno dopo a dirmi che i colleghi erano morti”

La squadra dei vigili del fuoco in caserma. Da sinistra: Sofia, Pasotto (ucciso dalla bomba), Bonomi, Bravi, Mandelli e Maimone

Milano – Sergio Pasotto aveva portato un vassoio di pasticcini e uno spumante per festeggiare il suo compleanno con i colleghi vigili del fuoco in servizio quella notte, nella caserma in via Benedetto Marcello. “Stavamo per aprire la bottiglia – ricorda Antonino Maimone – quando fummo chiamati dalla centrale per l’incendio di un’auto. Sembrava un intervento di normale amministrazione. Picerno disse: ‘Lasciamo i pasticcini sul tavolo, quando rientriamo li mangiamo e beviamo lo spumante’. Così non è stato. Quel vassoio è rimasto lì".

I ricordi di Maimone si aggrappano agli ultimi momenti trascorsi con la squadra, la sera del 27 luglio 1993, prima che l’esplosione della bomba in via Palestro spazzasse via le vite dei pompieri Carlo La Catena, Sergio Pasotto e Stefano Picerno, dell’agente della polizia locale Alessandro Ferrari e di Driss Moussafir, marocchino che dormiva su una panchina. Maimone, 57 anni, è uno dei vigili del fuoco sopravvissuti: il dolore fisico è passato, ma dopo trent’anni bruciano ancora le ferite dell’anima.

Maimone, quando è entrato nei vigili del fuoco?

"Da poco, nel 1992. Ero a Milano da circa un anno e quella notte Pasotto, La Catena e Picerno, che era il più anziano e per questo sostituiva il caposquadra, non dovevano neanche essere in servizio. Poi, per una serie di coincidenze assurde, sono rientrati. A ricordare provo ancora un senso di angoscia. Stavamo per festeggiare il compleanno di Sergio, quando arrivò la richiesta d’intervento. Siamo arrivati in via Palestro in pochi minuti".

Quale scenario vi siete trovati davanti?

"Dall’auto usciva fumo ma non vedevamo le fiamme, e questa era una cosa strana. All’interno abbiamo visto un involucro, un sacco della spazzatura chiuso con nastro adesivo. Pasotto ha detto: ‘Se è una bomba cosa facciamo?’. Picerno, con la sua esperienza, ha capito subito la situazione di pericolo: ‘Allontaniamoci, non tocchiamo niente e chiamiamo la polizia’. C’erano i vigili urbani, abbiamo bloccato la strada e fermato il passaggio delle persone. Erano trascorsi sette minuti dal nostro arrivo, quando la bomba è esplosa".

Che cosa ricorda?

"Un’esplosione devastante, un fascio di luce dalla terra al cielo. Dopo solo il silenzio, perché non sentivamo più nulla. Alcuni colleghi sono stati presi in pieno dalle schegge, noi siamo stati più fortunati. Io mi sono ritrovato a terra, con ferite alla spalla e al ginocchio che perdeva moltissimo sangue. Credevo che mi avrebbero tagliato la gamba. Era una scena da guerra, apocalittica, che non potrò mai cancellare dalla mente. Eravamo frastornati, poi sono arrivati i soccorsi e siamo stati trasportati in ospedale".

Quando ha saputo che tre dei suoi colleghi erano morti?

"Sono rimasto sveglio per tutta la notte, e il giorno dopo è venuto a trovarci il cardinale Carlo Maria Martini. Mi ha informato lui personalmente, invitando alla preghiera “per i colleghi che non ce l’hanno fatta”. Fino ad allora pensavo fossero vivi, mi è crollato il mondo addosso. Sono morti mentre facevano il loro lavoro".

Come è cambiata la sua vita, da quel giorno?

"Sono rimasto per un paio di mesi in malattia e poi sono rientrato al lavoro: non ho mai pensato di lasciare, quella era la mia passione. Dopo circa un anno ho ottenuto il trasferimento in Calabria, che in un primo momento il ministero dell’Interno aveva respinto la domanda. All’epoca non c’era la stessa sensibilità di oggi per le vittime del terrorismo. Abbiamo ricevuto la medaglia, nel frattempo ho avuto due figli e ho continuato a lavorare nei vigili del fuoco nella parte operativa fino alla pensione, sei mesi fa. Sono capitati altri momenti impegnativi e difficili, la bellezza del nostro lavoro è il fatto di non tirarsi indietro di fronte ai pericoli. Nel corso degli anni ho anche partecipato alle cerimonie, che però mi hanno sempre lasciato l’impressione di una passerella per le istituzioni".

Che persone erano i suoi colleghi?

"Sergio era un ragazzo stupendo, amava viaggiare. La Catena si è fatto notare subito per il suo attaccamento al lavoro, ricordo il suo fisico imponente e muscoloso. Picerno era autorevole, infondeva sicurezza. Il ricordo torna sempre a loro: il passato ci deve aiutare a migliorare il presente, nella speranza che certe cose non si ripetano".

Come ha vissuto l’arresto, dopo trent’anni di latitanza, del boss di Cosa Nostra Matteo Messina Denaro, tra i mandanti della strage?

"Non è una vittoria ma un traguardo raggiunto dopo trent’anni. La mafia, però, non è sconfitta".