
di Marianna Vazzana
MILANO
"Questa città che corre veloce ha bisogno di noi: rider, addetti alla logistica, alle pulizie e alla sicurezza. Ma non ci dà la possibilità di vivere dignitosamente perché un affitto mensile non è sostenibile con i nostri stipendi. Finiremo in mezzo alla strada?". La voce degli occupanti degli ex Bagni pubblici di via Esterle 15 in zona via Padova non si spegne, anzi ogni giorno il grido diventa più forte man mano che lo sgombero si avvicina: entro fine mese questa comunità di una quarantina di persone, coordinata dal collettivo “Ci Siamo-Rete Solidale“, "lavoratori stranieri sottopagati, con contratti di breve durata", quasi tutti originari di Mali, Costa d’Avorio e Guinea, dovrà lasciare i 650 metri quadri occupati abusivamente da 6 anni per fare largo alla prima moschea riconosciuta da Palazzo Marino. Lo scorso 10 luglio, infatti, il Comune (proprietario) ha ceduto il diritto di superficie alla Casa della cultura musulmana che si è aggiudicata la concessione trentennale dell’immobile per realizzarci un luogo di culto islamico. La proroga per la cessione, fino a fine agosto, è stata accordata informalmente soltanto per cercare di trovare una sistemazione per gli occupanti. "Ma niente da fare. A metà luglio, dopo un primo incontro con il Comune – spiega la rete di Ci Siamo – abbiamo preso impegni reciproci. Noi abbiamo fornito un elenco con il numero di persone che vivono qui, età e occupazione. L’Amministrazione avrebbe dovuto proporre delle soluzioni. Ma le strade ipotizzate non sono percorribili: in un pensionato ci sono solo due camere disponibili con quattro posti in totale. E il costo è di 450 euro a persona. Insostenibile per chi guadagna più o meno mille euro al mese. Mentre in altri pensionati o ostelli non ci sono posti oppure il costo è di 24-30 euro al giorno. Come ultima spiaggia ci è stato consigliato di rivolgerci al centro di via Sammartini per i senza fissa dimora. Ma come si può lavorare senza una casa?". Quindi è iniziata la mobilitazione permanente. "Nessuna soluzione neppure da “Milano Abitare“, l’agenzia per l’affitto accessibile del Comune di Milano, men che meno da agenzie private, che anzi hanno chiesto soldi per poi non trovare soluzioni. Queste persone rappresentano i lavoratori poveri di Milano, che non riescono ad accedere a una casa. Nel loro caso, alle difficoltà economiche si aggiunge il razzismo, perché nessuno affitta a stranieri, e il fatto di essere “costretti“ ad accettare condizioni di lavoro improponibili perché il lavoro è indispensabile per avere il permesso di soggiorno".
Camarà, 27enne del Mali, cuoco, dice: "Noi non siamo contro la moschea, anzi: siamo tutti musulmani. Ma perché i tanti posti dismessi in città non vengono messi a disposizione di chi è senza casa?". Giba, coetaneo della Guinea, sogna di diventare stilista e per adesso lavora come commesso: "Noi vogliamo vivere in regola ma non ci viene data nessuna possibilità". Tamba, del Gambia, è portiere in un pensionato universitario: "Se ci sarà lo sgombero senza una soluzione, perderò il lavoro".
Unione Inquilini li affianca nella battaglia: "Sono 150mila – commenta Giovanni Carenza, del direttivo – le persone tra Milano e hinterland che, pur lavorando, non possono permettersi di affittare né di comprare una casa. Milano, che si vanta di essere attrattiva, deve essere anche accogliente. In via Esterle è inaccettabile arrivare allo sgombero senza una proposta concreta". E il tempo è sempre meno.