
Francesco Billari
La Brexit, se non è stata l’unica causa scatenante, ha dato una grossa spinta. "Ho capito che quello era il momento giusto per tornare in Italia". Francesco Billari nel 2017 ha lasciato Oxford, dove insegnava sociologia e demografia da quasi 5 anni, per fare rotta verso la Bocconi. Ora, prorettore alle Risorse umane, si occupa di reclutare “cervelli“ italiani di ritorno dal Regno Unito o talenti internazionali, anche britannici, che la Brexit spinge verso altre città europee, come Milano.
Come si concretizza l’effetto della Brexit?
"La chiusura non paga mai, e l’idea di innalzare barriere e confini non è mai positiva per chi fa ricerca. All’atto pratico, le università britanniche perdono quei fondi europei che finanziano la ricerca. Per questo per tutti gli atenei milanesi si aprono opportunità importanti".
Quanti talenti avete attirato finora?
"Circa la metà dei docenti senior reclutati negli ultimi quattro anni provengono dalla Gran Bretagna. Sono una dozzina. Due sono inglesi, gli altri sono italiani o di altre nazionalità".
Che possibilità ha, Milano, di competere con altre metropoli?
"A livello europeo c’è molta competizione, e per questo bisogna continuamente rimanere al passo. Milano gioca con città come Parigi, Monaco o Barcellona. Ha il vantaggio di avere una posizione geografica che la rende un ponte fra Nord e Sud".
Gli effetti della Brexit si avvertono anche sugli studenti iscritti?
"La Bocconi conta già un quarto dei suoi studenti di provenienza internazionale e il numero è destinato a salire perché con la Brexit le rette delle università britanniche per molti diventeranno insostenibili. A questo si aggiunge anche l’aspetto culturale, perché la chiusura avvelena il clima. I miei amici rimasti lì sono intenzionati a prendere la cittadinanza britannica, io ho fatto scelte diverse pur non essendomi mai pentito di essere stato per anni uno dei cosiddetti cervelli in fuga dall’Italia".
Andrea Gianni