
Sandalo e calzino
Milano, 7 febbraio 2017 - Vi fareste rappresentare in aula da un avvocato con un pantalone beigiolino a fiori, birkenstock in tinta e calzino bianco (sì, coi sandali)? Affidereste la vostra difesa a un uomo o a una donna - è oggetto di dibattito - che si presenta in tribunale in total look color melanzana, leggings in similpelle e gambaletto annessi? A una legale in microshorts rosa carne? In pellicciona tigrata? Beh, forse qualcuno di voi l’ha fatto. O forse no: potrebbero anche essere imputati, testimoni, parenti, consulenti, impiegati. Non magistrati né forze dell’ordine, per fortuna: non sono consentiti nella galleria che va in scena quotidianamente su Facebook alla pagina «Avvochic & choc, ovvero la moda nei tribunali», dalla quale sono tratte le mise sopracitate, immortalate al Palazzo di Giustizia di Milano.

Perché, ça va sans dire, gli esempi di «chic» conclamato o dibattuto sono surclassati in numero, asfaltati dalle foto «choc». Abbinamenti improbabili, scollature e sgambature al limite della legalità; incidenti come un sedere che sbuca sopra i jeans, o sotto se strappati, patte aperte, pezzature epiche che trapassano la giacca. Spopolano calze a rete e di pizzo, trasparenze malandrine, stiletti assassini con plateaux da cubista, borsette stroboscopiche, tute leopardate, a fiori, a quadrettoni, a fantasie violente, anche in pendant. Gli uomini scontano la loro dose di stroncature per completi troppo arditi o troppo da gangster, per i bermuda e le infradito, anche indossate con la cravatta. Le calzature ambosessi sono il soggetto preferito, dallo zoccolo ospedaliero alle scarpe con le dita da sub spiaggiato.
Dalla massa emergono attimi di umorismo involontario (il tizio che si presenta in aula con la maglietta «Wanted», «ricercato»), situazioni incomprensibili (un uomo avvolto in un sacco dell’immondizia) e qualcuno sfiora il subilime, come la signora che frequenta la Cassazione indossando versioni multicolor dello stesso tailleur pantalone con baschina, o l’altra che vaga per il Tribunale di Napoli avvolta in raso perlaceo (didascalia geniale: «Questi fantasmi»), e sopra tutte la temeraria di Aversa, in fuseaux seconda pelle con un muso di tigre stampato sul posteriore. Umano, a volte troppo. D’altra parte dell’avvocato non conta lo stile ma il cervello, la preparazione, la professionalità, la cattiveria anche. Per tutto il resto, fortunatamente c’è su la toga.