Claudio
Negri
Davanti al vuoto antico di Civita di Bagnoregio lui si fermò con molti scrupoli e molte vertigini. Lei no. Lei prese un bello slancio, un elegante risoluzione di scapole – di tortora o d’angelo – e volò per il ponte di cemento armato che quasi a toboga unisce alla terra il vaneggiante tufo del borgo. Era una vacanza remota e a tappe esploranti. Erano giovani perché il mondo pareva loro o troppo vecchio o troppo acerbo. Anni Ottanta con molta strada e molti ottani. Una vacanza dove capitava anche di perdersi e non c’era ancora il cellulare, per riannodarsi e ritrovarsi in breve o sapere in quale punto dell’universo l’altro fosse A Orvieto, vicino allo slancio del duomo, lui le aveva detto: "Guarda, lì c’è un parcheggio all’ombra. Vado a spostare la macchina, tu aspettami qui, ci metto cinque minuti". Ce ne mise quasi cinquanta. Perché una serie di sensi unici e il meridano sole etrusco lo confusero e vagò su e giù con crescente disperazione, immaginadosi lo sconcerto di lei, sola in una piazza senza vie d’uscita o di entrata. La ritrovò seduta su un sasso, ma meno sconcertata di quanto paventasse: "Ma quanto tempo ci hai messo? Ho pensato a un malore, a un incidente. Ero quasi preoccupata...". Quasi. Lui la abbracciò: "Non ti lascerò mai più sola, giuro". L’accordo in sol maggiore della facciata del duomo di Orvieto sembrò solennizzare il tutto. Ma pochi giorni dopo, a Civita di Bagnoregio, lui la lasciò ancora sola. Anzi, fu lei a lasciare lui. Vide la sua snella figura scendere per il ponte e poi salire e poi sparire per il vetusto arco di una porta. Quanto tempo passò? Forse furono proprio cinquanta minuti. E quando lei risbucò dalla porta e lentamente ripercorse il ponte, a lui snervato dall’attesa risuonarono in mente le parole di una canzone di Leonard Cohen: "And when she came back, she was nobody’s wife (E quando tornò non era più la moglie di nessuno)". Esagerato, forse. Ma il senso era quello.
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