Uccise le sorelle: dall'ergastolo a 25 anni, condanna ridotta per Giuseppe Agrati

Il "delitto perfetto" smascherato, per i giudici non ci fu premeditazione. Stupore dopo la sentenza: non mi fanno uscire?

Giuseppe Agrati, 71 anni dopo la lettura della sentenza della Corte d’Assise d’Appello

Giuseppe Agrati, 71 anni dopo la lettura della sentenza della Corte d’Assise d’Appello

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Milano, 29 settembre 2022 - Giuseppe Agrati uccise le sue sorelle, Maria e Carla, ma non ci fu premeditazione. La sentenza emessa ieri dalla Corte d’Assise d’Appello di Milano sul delitto di Cerro Maggiore smonta in parte il castello accusatorio, riducendo la pena: dall’ergastolo, inflitto in primo grado, a 25 anni di reclusione. Uno sconto dovuto principalmente all’esclusione dell’aggravante della premeditazione. Prima che i giudici si ritirassero in Camera di consiglio per emettere la sentenza l’imputato, 71 anni, ha rilasciato dichiarazioni spontanee in aula, parlando per una ventina di minuti.

Ha ribadito che le sorelle sono morte "per un incidente domestico", per una fuga di gas dovuta al "collasso dei vecchi contatori" che il 13 aprile 2015 a suo dire avrebbe innescato l’incendio nell’appartamento in via Roma, alimentato dalla mole di oggetti accumulati in casa. Ha spiegato di non avere "alcuna acredine" nei loro confronti, ha negato di averle uccise per l’eredità. Per il sostituto pg di Milano Maria Vittoria Mazza, che ha chiesto invece la conferma dell’ergastolo, agì invece con "fredda determinazione", appiccando l’incendio mentre le sorelle dormivano e simulando poi un incidente.

Un piano diabolico quanto maldestro, che rischiava di trasformarsi nel "delitto perfetto". Inizialmente, infatti, l’inchiesta della Procura di Busto Arsizio sulla morte delle due donne correva verso un’archiviazione. È stato il nipote Andrea a opporsi, sollecitando altre indagini sul caso. E i nuovi accertamenti, condotti dal Nucleo investigativo dei carabinieri di Milano dopo che la Procura generale di Milano ha avocato l’inchiesta, hanno fatto emergere una nuova verità, portando all’arresto dell’uomo nel novembre 2019, con l’accusa di duplice omicidio volontario premeditato.

Un delitto maturato, secondo l’ipotesi accusatoria, per motivi economici e rancori in una famiglia benestante. Giuseppe Agrati, incensurato, era la "pecora nera". I fratelli e le sorelle si erano affermati, mentre lui non aveva mai lavorato. Quella notte l’uomo avrebbe dato fuoco a mobili nel corridoio al primo piano. Poi sarebbe sceso al piano terra per appiccare il rogo vicino a un contatore, forse per simulare una fuga di gas. Carla e Maria Agrati - la prima insegnante in pensione e la seconda traduttrice per la Mondadori e residente a Milano, che in quei giorni si trovava a Cerro Maggiore per fare visita ai parenti - stavano dormendo al primo piano quando furono sorprese dall’incendio. Cercarono scampo aprendo le finestre in camera e in bagno, stanze trasformate in una trappola mortale.

Giuseppe secondo l’accusa voleva eliminare gli eredi e incassare il patrimonio di famiglia, oltre mezzo milione di euro tra immobili e denaro. Ieri la Corte d’Appello di Milano, pur dichiarandolo colpevole di omicidio, ha escluso la premeditazione, applicando un forte sconto di pena. "Tra una decina di anni potrebbe uscire dal carcere – spiega il suo difensore, l’avvocato Giuseppe Lauria – attendiamo di leggere le motivazioni, perché così non regge neanche il movente individuato dalla Procura generale. Valuteremo se presentare ricorso in Cassazione, è stato un processo basato su prove scientifiche inconsistenti". Giuseppe Agrati, dopo la sentenza, ha espresso stupore: "Non mi liberano? Non hanno ancora capito che non le ho uccise".

 

 

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