di Andrea Gianni
MELZO
Rosa Fabbiano non ha ucciso la madre per soldi, ma piuttosto "il movente è da ricercare nella condizione di estremo disagio emotivo e familiare" che stava vivendo. È rimasto sola ad accudire l’anziana madre affetta da demenza senile, che manifestava un comportamento sempre più aggressivo e incontrollabile, trovandosi "in un evento più grande delle sue capacità e risorse". Pur non agendo come un "killer freddo e calcolatore", dopo il delitto ha costruito un castello di bugie, con maldestri tentativi di nascondere le responsabilità, agendo "sempre da sola" anche quando ha fatto a pezzi il cadavere della 84enne Lucia Cipriano, senza l’aiuto di altre persone o del marito che, tra l’altro, è invalido. Sono alcuni passaggi della requisitoria della pm Elisa Calandrucci, che ieri ha chiesto alla Corte d’Assise di condannare a 28 anni di carcere Rosa Fabbiano.
La donna di 59 anni, secondo le ricostruzioni, avrebbe ammazzato la madre strangolandola o soffocandola, forse per farla smettere di urlare, nell’appartamento dove viveva a Melzo. Poi ha fatto a pezzi il cadavere, nascondendolo nella vasca da bagno e coprendolo con teli in plastica. Fino al macabro ritrovamento da parte dei carabinieri, il 26 maggio 2022. E a quella frase inquietante pronunciata dalla donna, che viveva a Mediglia con il marito, prima di chiudersi nel silenzio: "Ho combinato un disastro". Secondo le ricostruzioni della Procura, Lucia Cipriano è stata uccisa il 31 marzo dell’anno scorso, quando una vicina di casa ha sentito un "tonfo" proveniente dall’appartamento seguito da "due strilli".
Dal 2 aprile Rosa "ha iniziato a dire bugie" scrivendo alla vicina di aver portato la madre a casa sua, a Mediglia, per "poterla gestire meglio". Intanto maturava la "malsana idea" di tagliare il cadavere in più pezzi, probabilmente quando era già iniziato il processo di decomposizione". Una serie di "condotte efferate" venute alle luce quando una delle sorelle, che vive a Trento, si è insospettita perché non riusciva più a contattare la madre ed è tornata a Melzo. La pm ha chiesto di riconoscere le attenuanti generiche, non prevalenti però sulle aggravanti, quantificando così la pena in 28 anni di carcere. Poi ha chiesto di dare il nulla osta all’inumazione dei resti di Lucia, analizzati in fase di indagini dall’anatomopatologa Cristina Cattaneo, perché "è arrivato il momento di dare adeguate esequie" alla donna.