Milano, 90enne uccisa in agriturismo: "È doppio il dolore, per noi era uno di famiglia"

Paolo Bossi, figlio di Carla Quattri, parla di Damyan: l’assassino di sua madre era stato accolto alla cascina quando era un minore solo

La polizia scientifica in azione

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Milano, 7 gennaio 2020 - «Era trattato come uno di famiglia, ha mangiato con noi al pranzo di Natale, accolto come un figlio e un fratello. Sarebbe tornato a festeggiare l’Epifania, mia madre già stava preparando le pietanze per 15 persone. Anche per lui. Per questo il dolore è doppio". Ieri non c’è stata nessuna festa, al Podere Ronchetto. A parlare è Paolo Bossi, veterinario, il figlio maggiore di Carla Quattri Bossi, la novantenne uccisa la notte tra sabato e domenica nella cascina di Ronchetto delle Rane, all‘estrema periferia Sud della città. E "lui" è Damyan Dobrev Borisov, finito in manette con l’accusa di aver ucciso l’anziana dopo averle chiesto dei soldi che la donna gli avrebbe negato.

Gli abitanti del Ronchetto lo chiamano "Damiano", quel ragazzo bulgaro di 21 anni che da circa tre viveva nella cascina-agriturismo-agricampeggio gestita dal fratello di Paolo, Francesco. Vi era approdato da minorenne, quando era completamente solo, dopo un paio di anni passati a vivere in strada, tra Roma, Napoli e Milano. All’epoca era seguito dai servizi per i minori del Comune, spiegano da Palazzo Marino,ed era stato dato in affido alla famiglia Bossi; poi gli era stato concesso il prosieguo amministrativo dal Tribunale al compimento dei 18 anni. Compiuti i 21, lo scorso novembre, l’affido si era concluso definitivamente. Nel frattempo tramite il Celav, Centro di mediazione al lavoro del Comune, il ragazzo aveva ottenuto tre borse lavoro, ciascuna di circa sei mesi, per un avviamento verso l’autonomia. Un progetto terminato a maggio del 2018. Non è chiaro se fosse dipendente del Podere Ronchetto o legato a una cooperativa esterna. Né dove lavorasse attualmente. Di sicuro, lì dentro era rimasto a vivere in un mini alloggio, e veniva trattato come un figlio.

«Qui siamo come una grande famiglia – spiega Paolo Bossi –, accogliamo le persone. Un posto a tavola si trova sempre, siamo stati abituati così (i fratelli Bossi erano gli storici gestori della Cascina Gaggioli, ndr ). Damyan era sempre il benvenuto: quello che è successo ci fa stare male doppiamente". Perché la violenza brutale si è scatenata contro colei che, "sempre affettuosa", gli aveva spalancato le porte dandogli piena fiducia, insieme ai figli. "Mia madre, farmacista, aveva quattro figli e undici nipoti. Io penso che sarebbe arrivata tranquillamente a diventare bisnonna", riflette Paolo, che la descrive come "una donna in gamba: faceva tutto da sola, cucinava per la famiglia, guidava, aveva una buona parola per tutti, era un punto di riferimento".

Damyan invece non pare aver lasciato una buona impressione di sé ai colleghi. "Voleva fare di testa sua – fa sapere Rollie Azanion, che al Podere Ronchetto si occupa dell’orto –, a volte fumava delle canne, o beveva. Un giorno, esasperato, ho detto al padrone che me ne sarei andato via se lui fosse rimasto. E gli hanno assegnato altri lavori". Alcuni raccontano poi che nel Podere ci sarebbero stati almeno tre furti. "Ma nessuno si aspettava una cosa del genere – dice don Bruno, il parroco della chiesa Santi Pietro e Paolo ai Tre Ronchetti –. Non vedevo quel ragazzo come un tipo pericoloso, a volte partecipava alle nostre attività aggregative. Magari beveva solo qualche bicchiere di troppo, ma nulla di più". Il ricordo più dolce del don è per la signora Carla: "Partecipava alla messa tutti i giorni. Ogni volta che mi presentavo da lei, anche solo per le benedizioni, mi offriva qualcosa da mangiare. Cucinava benissimo, tra le sue specialità c’erano i minestroni. Aveva un’attenzione speciale per il prossimo. Una donna che il quartiere non dimenticherà". Il presidente del Municipio 5 Alessandro Bramati ha già espresso le sue condoglianze alla famiglia e "vicinanza per questo dramma che apre ferite profonde".  

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