
Le casse di Sassicaia contraffatto sequestrate dai militari della Guardia di Finanza
Milano, 16 ottobre 2020 - Le casse da sei di vino Bolgheri Sassicaia 2013 venivano smerciate a 250-500 euro l’una, a fronte di un valore commerciale regolare che si aggira tra i 1.200 e i 1.500 euro. Intendiamoci: i rivenditori non erano particolarmente generosi con i loro clienti, bensì commercializzavano bottiglie riempite di Nero d’Avola in arrivo dalla Sicilia e le spacciavano (agli acquirenti consapevoli) per il pregiato nettare che si produce solo a Castagneto Carducci, in provincia di Livorno. La maxi truffa è stata scoperta dai militari della Guardia di Finanza di Empoli, che due giorni fa hanno fatto scattare le manette: ai domiciliari sono finiti Angelo Francesco Loforese, sessantaduenne originario della tarantina Laterza e residente a Cinisello Balsamo, e il figlio Bryan, 34 anni, nato e cresciuto a Milano.
Come emerge dall’ordinanza di custodia cautelare dal gip di Firenze Giampaolo Boninsegna, era proprio da queste parti che i due avevano il loro quartier generale. L’assemblaggio finale delle casse, hanno appurato le indagini iniziate nel novembre del 2019 dal casuale ritrovamento di una cassetta di vini e di un biglietto con due nomi e altrettanti numeri di telefono, avveniva in un magazzino di Paderno Dugnano. La coppia ne aveva a disposizione pure un altro, in via Risorgimento a Cinisello Balsamo. Non basta: parte dei traffici sarebbe passata anche dall’appartamento in cui Loforese senior è effettivamente residente, in via Sabin a Cinisello: in garage e in cantina erano custoditi tappi, etichette e attrezzatura utile per il confezionamento del prodotto finito.
E ancora: il sessantaduenne disponeva di un ufficio in viale Jenner 38 a Milano, a due passi da piazzale Maciachini, che frequentava abitualmente insieme a un cinese, con cui, secondo gli accertamenti investigativi, era "in società per concludere una serie di affari con aziende" della Repubblica popolare. Quello con l’Estremo Oriente non era l’unico legame allacciato dai Loforese oltre confine. Sì, perché etichette farlocche e bottiglie venivano prodotte in particolare in Turchia, mentre era una tipologia bulgara, di Plovdiv, a occuparsi della falsificazione del marchio Doc.