ANDREA GIANNI
Cronaca

Cyber-spie e truffe coi Bitcoin, l’ex ministro Franceschini vittima di uno schema Ponzi: “Investiti milioni”

I tanti volti dell’ingegner Pegoraro: hacker, perito e venditore di criptovalute. “Così ha fatto il grano”. Gli indagati citano anche l’esponente del Partito democratico

L’ex ministro della Cultura Dario Franceschini, del Partito democratico

L’ex ministro della Cultura Dario Franceschini, del Partito democratico

Le truffe che emergono dalle pieghe dell’inchiesta sul gruppo di cyber-spie di via Pattari 6 sembrano seguire il “tipico schema Ponzi”, con investimenti in bitcoin che offrono “nel primo periodo rendite allettanti che poi andavano via via svanendo”. In ventiquattro avrebbero investito addirittura “sette milioni di euro” e, spiegava l’hacker Samuele Calamucci in una delle conversazioni intercettate, “a parte quelli ce ne sono un paio che gli hanno lasciato tutta la liquidazione di una vita dentro”. E a un certo punto, nelle conversazioni, si fa riferimento all’ex ministro Dario Franceschini, esponente del Pd e avvocato. Potrebbe essere “uno dei frodati” dall’ingegnere veneto Gabriele Pegoraro (uno degli oltre 60 indagati nella maxi-inchiesta della Dda milanese sugli accessi abusivi), esperto della società BitCorp: “Metà di loro sono avvocati”.

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Una presunta truffa su investimenti nelle criptovalute che, annotano i carabinieri, “vedrebbe nel ruolo di vittime molti cittadini che si sono fidati del suo programma d’investimento”. Soldi transitati anche su conti svizzeri, e fatti sparire. “I soldi li hanno messi due anni fa – spiega Calamucci – e loro pensano di avere in mano dei certificati come bitcoin”. BitCorp non è una società qualunque, perché è stata fondata da due carabinieri in congedo, ha collaborato con Procure e forze dell’ordine, avrebbe contribuito alle ricerche dell’ex terrorista Cesare Battisti in Sudamerica, poi estradato in Italia dopo una lunga latitanza. E Pegoraro si muoveva su più tavoli, un “ragazzo” che “si è introdotto nella Verona bene” e ha iniziato a vendere bitcoin in parallelo alle sue attività di hacker e perito.

“Ha raccolto il grano”, afferma Calamucci. E il ferrarese Luca Cavicchi, anche lui indagato, replica: “Le persone stanno bene inculate però...”. Calamucci, poi, esplicita lo schema. “Gli aveva di guadagno un bitcoin l’anno che penso che quando avevano iniziato era tipo cinquantamila dollari, una roba alta (...) solo la droga rende così tanto. Adesso vedremo, se viene fuori il bubbone questi vanno sul giornale”. A un certo punto Cavicchi parla di “Franceschini” come uno dei frodati e dai dettagli nelle conversazioni intercettate i carabinieri ricostruiscono il possibile collegamento con l’ex ministro, anche lui ferrarese. Un filone al centro di approfondimenti investigativi, che apre nuovi scenari sulle attività tentacolari del gruppo di kacker e investigatori privati arrivati ai piani alti della società e della politica.

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Fra le persone spiate c’è anche una ex europarlamentare del Movimento 5 Stelle, Daniela Aiuto, che nel 2020 era stata intervistata nel corso di un’inchiesta di ’Presa diretta’ proprio sulla permeabilità dei dati personali. Era intervenuta sul delicato tema del controllo dei dati personali da parte dei partiti politici, tra cui il Movimento 5 stelle che aveva lasciato nel 2018 con un duro atto d’accusa: “Queste persone sono diventate il gestore delle nostre esistenze”. È finita nel mirino degli hacker, però, non per motivi politici, quanto piuttosto per “rapporti economici” con una delle aziende che si erano rivolte al gruppo. Cercano dati reputazionali, esprimono preoccupazione per l’alert che potrebbe scattare per gli accessi abusivi ai sistemi informativi su una persona che sedeva nel Parlamento europeo. Poi, di fronte alle pressioni del committente, Calamucci sbotta: “Gliela tiriamo giù adesso”.