MARIO CONSANI
Cronaca

Terrore rosso, 35 anni dalla resa: i Cocori e la consegna delle armi a Carlo Maria Martini

L'operazione nacque dalla corrispondenza tra il leader della formazione Ernesto Balducchi e l'arcivescovo di Milano. Una lettera precedette la clamorosa consegna

L'arsenale dei terroristi rossi consegnato ala Curia milanese

Milano, 14 giugno 2019 - C'erano due micidiali fucili Kalashnikov con i caricatori, un mitragliatore Beretta calibro 9 e poi pistole, lanciarazzi, bombe a mano e proiettili di vario tipo. Erano armi di terroristi rossi. Tutto in quattro grosse borse sportive che una mattina di 35 anni fa, il 13 giugno 1984, vennero depositate in arcivescovado sul tavolo di don Paolo Cortesi, uno stretto collaboratore del cardinale Carlo Maria Martini. Riferì il sacerdote al pm Armando Spataro che a portarle fu un giovane sconosciuto, che se ne andò senza aspettare che lui concludesse la telefonata che stava facendo in quel momento.

Era l’arsenale dei Comitati comunisti rivoluzionari (Cocori), formazione vicina a Prima Linea e che, in pratica, quella mattina deponeva le armi consegnandole al cardinale. La notizia divenne pubblica solo un paio di giorni dopo, al processo già in corso contro i Cocori, accusati di tre omicidi. Ma il gesto del misterioso “fattorino”, ammesso che la versione ufficiale fosse vera, certo non era stata una sorpresa in Curia, dove le visite del cardinale in carcere e i suoi colloqui con i terroristi detenuti erano ben noti. Così come la lettera che un paio di settimane prima aveva scritto da San Vittore a nome di alcuni suoi compagni Ernesto Balducchi, uno dei leader del gruppo, chiedendo all’arcivescovo l’intervento della Chiesa in una sorta di mediazione per la ripresa del dialogo con lo Stato. «Avevamo deciso di abbandonare la lotta armata e Martini ci ascoltò», racconterà Balducchi a Radio Vaticana molti anni dopo, in occasione della scomparsa del cardinale. «Noi avevamo già maturato un giudizio negativo sull’esperienza della lotta armata – aggiunse – però ci trovavamo di fronte un muro abbastanza compatto di opinione che non era disponibile a qualsiasi forma di dialogo e quindi ad accettare anche questo giudizio critico e questa uscita ideologica dal campo della lotta armata».

Ma perché proprio il cardinale? Perché - spiegò Balducchi - Martini era stato in carcere con loro il Natale precedente, e prima «avevamo seguito un suo intervento ad un convegno – mi pare del 1983 – sulla dimensione sociale del peccato. Cioè, illuminava un po’ l’aspetto sociale, la dimensione sociale del peccato e quindi il suo legame con l’ingiustizia, fondamentalmente. Allora scrissi una lettera a Martini. Mi rispose, non me l’aspettavo. E a quel punto ho incominciato a mettere a fuoco quello che avrebbe potuto essere un dialogo anche concreto». Un dialogo facilitato dallo storico cappellano di San Vittore don Luigi Melesi, che si offrì come mediatore per la consegna delle armi. «Quattro borsoni che insieme a un brigatista in libertà portai dal luogo in cui erano conservati all’arcivescovado. Loro dal carcere avevano ascoltato le predicazioni che il cardinale aveva fatto in Duomo commentando i Miserere. Così quando poi nei nostri colloqui settimanali discutemmo di dissociazione, disarmo e altre possibilità, furono loro stessi a dire: le armi portiamole al cardinale».

Così andò, anche se non tutto filò liscio durante quel tragitto nell’auto di don Melesi con le armi e il passeggero brigatista. Incapparono in un posto di blocco alla Comasina che poteva rivelarsi imbarazzante. «Il brigatista che era con me impallidì. Eravamo in coda, ma scesi con il mio abito talare – ricordava il sacerdote, scomparso un anno fa – e feci presente che rischiavo di far tardi a un appuntamento con il cardinale. Non solo non perquisirono l’auto, ma mi scortarono in moto oltre il posto di blocco e ci salutammo...».