
Maria Giulia Sergio ora si fa chiamare Fatima
Milano, 21 settembre 2016 - Spunta un altro foreign fighter residente in Italia, nel processo a carico di Maria Giulia ‘Fatima’ Sergio, la ragazza lombarda che nel settembre 2014 ha raggiunto la Siria insieme al marito per unirsi alle milizie dell'Isis. Dalle indagini condotte dalla Digos e coordinate dal pm Paola Pirotta e dal procuratore aggiunto Maurizio Romanelli è emerso che, negli ultimi mesi del 2014, un aspirante mujahidin marocchino che abitava ad Avellino ha lasciato l'Italia e ha raggiunto i territori del Califfato, dopo aver attraversato il confine turco. A espatriare e raggiungere le zone controllate dal Califfato lo hanno aiutato gli stessi “facilitatori” che erano in contatto anche con Maria Giulia Sergio.
A parlarne, nell'udienza di questa mattina, è stata Cristina Villa, funzionario della sezione antiterrorismo della Digos, sentita come testimone nel processo milanese che vede Maria Giulia Sergio, suo marito, l'albanese Aldo Kobuzi, suo padre, Sergio Sergio, e altre due persone imputate per terrorismo internazionale. Gli inquirenti milanesi sono riusciti a risalire al marocchino grazie alle intercettazioni effettuate su un numero turco. A usare quel telefono, erano tre membri dell’Isis, incaricati di dare una mano ai potenziali foreing fighers ad arrivare a Istanbul, accoglierli, fornire loro documenti falsi e aiutarli ad attraversare il confine con la Siria. Uno di loro era addirittura il “coordinatore” di questa attività in Turchia.
E proprio lui, non sapendo di essere intercettato, ha consigliato a Fatima di “non portare con sé telefoni di ultima generazione o smartphone, perché sono facilmente intercettabili. Meglio un vecchio cellulare tipo Nokia". E ancora: "Viaggia leggera. Porta soltanto l'essenziale, al massimo una valigia". Indicazioni che i tre terroristi hanno ripetuto anche a molti altri aspiranti combattenti in arrivo dall’Europa. La rete, infatti, era molto più ampia. In tutto sono 22 i numeri di militanti dell’Isis individuati dagli inquirenti milanesi, che hanno intercettato telefonate in arrivo da Svezia, Belgio, Spagna e Francia. E in questo modo, sono stati in grado di tracciare una vera e propria mappa dei foreighn fighter europei che hanno raggiunto i territori del Califfato o che erano pronti a farlo. Le conversazioni, i messaggi, le email scambiate da quei telefoni, messi insieme, offrono un quadro sulla decisa espansione dello Stato Islamico nei primi mesi del 2015.
Nel gennaio di quell'anno, ad esempio, è stato intercettato sull'utenza turca il dialogo tra il "coordinatore" dell’Isis a Istanbul e un numero libico. L'interlocutore chiede indicazioni su alcuni combattenti pronti a lasciare la Libia per raggiungere la Siria: "Non deve partire nessuno - è l'ordine del "coordinatore" turco - L'Isis ormai è arrivato in Libia ed è lì che bisogna combattere". Chiama quel cellulare anche una donna spagnola, fermata dalle autorità turche mentre sta tentando di attraversare il confine siriano insieme al figlio di 3 anni. Al telefono, lei si lamenta: vuole raggiungere il suo amante Omar, un combattente del Califfato impegnato sul fronte di guerra, ma è stata bloccata e trasferita in una sorta di centro di accoglienza temporanea. "Faremo tutto il possibile", la rassicura il “coordinatore”. La donna, però, non arriverà mai in Siria. E' ricercata in Spagna e dopo quella conversazione viene rimpatriata e arrestata.